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Fundamina

versión On-line ISSN 2411-7870
versión impresa ISSN 1021-545X

Fundamina (Pretoria) vol.20 no.2 Pretoria  2014

 

Alcune note sul fas ed i precetti noachidi

 

 

Alfredo Mordechai Rabello

Professore emerito presso la Hebrew University of Jerusalem; Professore e Preside della Scuola di diritto presso lo Zefat Academic College

 

 


ABSTRACT

The aim of this study is to examine some opinions about the fas with which the ancient inhabitants of the Roman territory, the Quiriti, Sabini and Romans, complied. Our study considers the ancient Roman sources and the writings of modern scholars; and includes some notes of comparison with the Noahide legislation that applies to the whole of humanity. The Jewish sources speak of a common understanding on the part of all mankind, as from the time of Adam. According to the Bible and the Masters of Judaism, divine legislation begins with the Lord's commands to Adam, and is completed with the laws of Noah. It is therefore evident that the commands given to Adam continue to be of value even to Noah and his descendants, namely all human beings (the sons of Adam and of Noah).


 

 

Le veritable legislateur chez les anciens, ce ne futpas l'homme, ce fut croyance religieuse que l'homme avait en soi1

Scopo di questo studio è di esaminare alcune opinioni che avevano gli antichi abitanti del territorio romano, Quiriti, Sabini, Romani del fas, sia attraverso le antiche fonti romane, sia attraverso l'esame degli scritti di studiosi moderni che si sono preoccupati di problemi precivici, con qualche nota di comparazione con la legislazione noachide - valida per l'umanità intera - e sul processo che ha portato l'umanità alla idolatria.

Vi è da notare che oggi, a differenza di quanto avveniva solo qualche decennio fa, si dà anche fra i romanisti, maggior rilevanza all'elemento religioso nella vita degli antichi Romani, compresa la loro vita giuridica2.

 

1. Definizione e etimologia

Commentando il passo di Virgilio: "Fas et iura sinunt" Servio osserva: "id est divina humanaque iura permittunt: nam ad religionem fas, ad homines iura pertinent"3.

La credenza nell'origine divina del Diritto era una credenza comune a molti popoli4, ed anche in un periodo più tardo, quando la religione era decaduta di molto, Cicerone scriverà: "che i cittadini abbiano innanzi tutto la convinzione che gli dei sono i padroni e regolatori di tutte le cose, che tutto ciò che si fa lo si fa per la loro potenza, per la loro volontà e provvidenza"5.

Consultando l' Encyclopaedic Dictionary of Roman Law6 troviamo la seguente definizione di "fas": "Fas (as opposed to ius.) The moral law of divine origin, whereas ius is law created by men. The two terms appear together in the phrase ius fasque. Fas is what gods permit, nefas what they forbid. In its widest sense fas is what is permitted by law or custom".

Si può dire che tale definizione è quella più comunemente accolta dagli studiosi7.

Venendo al senso etimologico di fas, i Romani fanno derivare fas dal greco femì e dal latino fari8: "fata sunt quae divi fantur". In tal caso il significato di fas è quello di manifestazione della volontà divina; Virgilio canta: "at sperate deos memores fandi atque nefandi"9; è evidente, anche per il mantovano, la relazione fra fas e fari10 relazione che appare nella contrapposizione fas/ius, lex divina/lex humana11.

 

2. Il fas più antico nell'opinione di alcuni studiosi moderni

Dopo aver per lungo tempo subito passivamente i voleri dei numina, identificati nelle forze naturali, sorse nell'uomo il desiderio di cercare di scoprire cosa gli dei non volessero, cosa fosse ritenuto illecito compiere (nefas) rimanendo quindi il resto, cioè quello che non era proibito, lecito, fas, atteggiamento non contrario al volere degli dei; fas sarebbe l'apparizione, la manifestazione della volontà divina.

I Romani primitivi "ridussero il fatum a un minimo numero di divieti inderogabili (nefas est), mentre ritennero, per ogni altra loro attività, di essere liberi, sia pure a patto di ottenere l'aiuto divino, di comportarsi secondo i propri voleri (fas est)"12.

Vi erano pertanto alcuni atteggiamenti ritenuti da tutti come vincolanti; fra le attività ritenute illecite (nefas est) vanno annoverate le unioni sessuali fra parenti di sangue, l'omicidio, la disubbidienza al pater ecc. Si incominciò a ritenere come lecita (fas) la reazione della persona offesa, entro limiti determinati (talio13). In linea di massima, però, i romani ritennero necessario ottenere l'assenso, esplicito o implicito, degli dei onde conservare la pax deorum14.

Secondo Pierre Noailles15, il vero legislatore presso gli antichi non fu l'uomo, ma la credenza religiosa che l'uomo portava in sè; per questo essi - non diversamente dagli Ebrei - non concepivano il diritto come separato dalla religione. Religione e diritto nascono da uno stesso pensiero; fas si riferisce alla religione, al volere divino, è espressione della volontà divina, così come ius è espressione della volontà umana. Il fas è la sfera libera dell' attività permessa dagli dei, è quello che gli dei ordinano di fare; lo stesso ius deve essere subordinato al fas.

L'Orestano16 ha cercato di arrivare a distinguere l'uso primitivo di fas da quello successivo, usato dalla fine della Repubblica romana in poi; l'uso primitivo di fas-nefas e ius-iniuria deve essere stato un uso predicativo, per indicare cioè se un dato comportamento concreto di una persona era lecito, o meno; se tale comportamento riguardava un interesse divino, si era nella sfera del fas; se un interesse umano nella sfera del ius: "Quanto più si risale nella storia dei popoli, tanto più vi si rileva dominante uno strettissimo intimo legame tra religione e diritto ... fas e ius dapprima avrebbero indicato soltanto la conformità o liceità religiosa di un atto17".

La situazione sembra essere bene espressa, sinteticamente, dall'Albanese, nel surricordato studio: Fas è usato "per predicare la liceità d'un determinato comportamento in relazione ad un volere sovrannatuale".

 

3. L'ipotesi sabina

Sono ben note le relazioni fra gli antichi Romani ed i Sabini; le fonti romane ne parlano in particolare a proposito del ratto delle sabine. I Sabini, antico popolo italiano, formarono uno degli elementi etnici dell'antica Roma, vivendo sul Quirinale18.

Per il nostro studio, merita particolare attenzione la teoria di Herman Van Den Brink19, il quale, facendo proprie alcune teorie già avanzate in passato, sottolinea la non omogeneità della cultura romana, in cui si riscontrano vari influssi oltre a quelli etruschi, greci, troiani; vi si trovano elementi culturali indoeuropei, ariani, latini accanto ad elementi mediterranei, sabini; tenendo presente questa diversità d'origine si possono comprendere, secondo lo studioso olandese, varii fenomeni altrimenti incomprensibili. Le parole ius e fas sono state originariamente quasi dei sinonimi; in una cultura giuridica primitiva non si distingue fra ius humanum e ius divinum20. La liceità di un atto secondo il nuovo diritto della città - stato Roma non poteva essere espresso in maniera più netta che col dire che era conforme al ius fasque, che cioè né il diritto dell'una (ius) né quello (fas) dell'altra cultura vi si opponevano ... "21. Nel suo citato volume il Van Den Brink ribadisce che "On suppose que la notion ius est d'origine latine tandis que fas serait d'origine sabine; ius convient certainment à la structure d'esprit objective des Latins, tandis que la fréquente présence de fas dans le sens de "tabou" s'accorde à la manière de vivre des Sabins"22. Cercando di spiegare l'origine dell'espressione ex iure Quiritium egli osserva che "les Quirites furent jadis les habitants du Quirinal: les bourgeois sabins. L'apport des Sabins (Quirites donc) le fas... ex jure Quiritium signifie que le droit dans le cas concret se base sur le nouveau droit (influencé aussi par le fas des Sabins"23. "È possibile che il contrasto tra la cultura dei Latini e quella dei Sabini sia proprio una conseguenza del subire, in varia misura, l'influsso mediterraneo. Così in epoca posteriore i Romani riportano la denominazione della loro società (populus romanus Quirites) all'associarsi dei soldati di Romolo (Latini) con il popolo sabino di Cures. Ma i filologi non escludono che la denominazione populus romanus non sia d'origine indo-europea, bensì mediterranea; Quirites sarebbero allora i discendenti dei guerrieri indoeuropei"24.

Fra le divinità Giano sembra essere ritenuto il protettore dello stanziamento sabino; Marte-Quirino, Cere-Tello sono ritenute divinità che hanno due per due una funzione equivalente: si può quindi pensare ad una origine latina e sabina; nel culto sabino regna una stretta partecipazione; ci si rimette indefinitamente alla potenza divina, si vede, per usare l'espressione del Fugier, nel fas "una norma cosmica"25.

Elementi mediterranei26 accanto a quelli europei; non possiamo dunque escludere che in un epoca in cui in terra di Israele troviamo già salde istituzioni politiche, fossero giunte in Italia e a Roma anche l'eco di alcuni dei più antichi racconti biblici. Non possiamo escludere, dicevamo, ma nulla di più concreto.

 

4. Fas e Diritto ebraico nell'opinione di Boaz Cohen

Lo studioso Boaz Cohen (1899-1968) ha esaminato la differenza fra fas e diritto ebraico nel suo studio Jewish and Roman Law27:

"Before concluding, let us note a striking contrast between Jewish and Roman law. The Romans were the only people of antiquity who disentangled completely their civil law from all their religious precepts in historical times. Perhaps the Roman theory about the origin of their law is not unconnected with this phenomenon. The belief in the divine inspiration of the Law, which was current among most ancient peoples, was confined by the Romans to ritual prescriptions, known as Fas, whereas the changeable rules regulating intercourse between individuals in society termed lex, were regarded as human institutions. Fas lex divina ius lex humana est. The Jews did not make this distinction. Perhaps the Greeks did not either. At any rate, Plato uses vomos for both religious and civil rules. Thus in the beginning of his dialogue on the Laws, there is the following passage: 'To whom do you ascribe the authorship of your legal arrangements Stranger? To a god or some man? To a god, Stranger, most rightfully to a god. We Cretans call Zeus our lawgiver; while in Lacedaemon where our friend here has his home, I believe they claim Apollo as theirs. Is not that so Megillus?' Now it was the total separation of the civil from the religious law that greatly facilitated the reception of Roman jurisprudence by the peoples of Europe in the Middle Ages. To sum up, since a critical comparison between Roman and Jewish law has hardly been inaugurated, it would be premature to make any statement on the question whether the Jews and the Romans had profited to any great extent from each other's legal experiences. But it is safe to assert that a scientific and comparative inquiry between the two great systems of law that have wielded such a considerable influence upon Western civilization, would result in an enhanced understanding of the great contributions made by the Jews and the Romans to the thought, the culture, and the legal science and institutions of Europe"28.

 

5. L'opinione del Maimonide sulla perdita della conoscenza di D-o ed il conseguente passaggio all'idolatria dell'umanità

È evidente che, per chi fa propia la tradizione biblica della creazione del mondo e di un unico uomo da parte del Signore, uomo creato ad immagine divina, uomo con cui D-o stesso ha parlato direttamente, si pone il problema di come si sia arrivati, noi uomini, a perdere la conoscenza di D-o e si sia passati all'idolatria.

Il problema è stato trattato dal grande decisore e filosofo ebreo medioevale, Mosè Maimonide (1138-1204) nella prima parte del suo Mishné Torà, nel libro della conoscenza, regole sull'idolatria:

"Al tempo di Enosh29 gli uomini commisero un grande errore30 e venne meno la saggezza dei saggi di quella generazione ed Enosh stesso era fra coloro che sbagliarono31. E questo era il loro errore, dicevano: dato che il Signore ha creato le stelle e gli astri per dirigere il mondo, e li ha posti nelle parti eccelse ed ha dato loro onore, e sono come servi che servono davanti a Lui, essi sono degni di essere esaltati e lodati e bisogna onorarli. E questo è il volere di Dio, benedetto Egli sia, fare innalzare ed onorare chi ha (lui stesso) innalzato ed onorato, così come il re vuole che siano onorati i suoi servi, che stanno davanti a lui, e questo è l'onore del re stesso. Dato che hanno pensato in questo modo hanno incominciato a costruire agli astri dei santuari e ad offrire loro dei sacrifici, e ad onorarli e ad esaltarli con parole e ad inchinarsi dinanzi a loro - per raggiungere il volere del Creatore e concigliarsi (la sua benevolenza, attraverso tali intermediari) secondo la loro idea stolta. È questo l'inizio dell'idolatria ... ."

Basandosi poi sui versetti del profeta Geremia X, 7-8 spiega il Maimonide: "cioè a dire: Tutti riconoscono che non vi è altro D-o, ma il loro errore e la loro follia consiste nel credere che nella vanità (del loro culto degli astri) Tu metti la Tua volontà".

Nei paragrafi e capitoli successivi spiega il Maimonide come l'Umanità abbia proseguito ad allontanarsi da D-o, pur credendo di farne il volere, fino a che "nacque la colonna del mondo, nostro Padre Abramo", che ritrovò il Signore e se ne fece servitore e portatore della Sua verità nel mondo, fino a tralasciare questa verità come eredità al popolo di Israele, suo discendente.

 

6. I sette precetti noachidi

Secondo l'interpretazione talmudica nella Bibbia sono contenuti anche i cosiddetti sette precetti noachidi32, dati da D-o ad Adamo e poi a Noè e che, come tali, debbono essere osservati da ogni uomo o donna, dall'umanità intera, discendente, appunto, da Adamo, il primo uomo creato da D-o e da Noè, unico susperstite dal diluvio universale33. Tali precetti sono: 1) il divieto d'idolatria; 2) il divieto di bestemmia o blasfemia; 3) il divieto di omicidio; 4) il divieto di incesto e dell'adulterio; 5) il divieto di furto e rapina; 6) l'obbligo di stabilire dei tribunali che assicurino l'ordine, la giustizia e assicurino il rispetto di tali norme; 7) il divieto di mangiare un arto tratto da un animale vivo.

Fin dai primi capitoli della Genesi i Maestri hanno voluto far presente che la Torà è fonte di norma, per il mondo e per Israele; il discorso, la lezione tenuta oralmente, dovevano basarsi su una parola del testo, su un particolare linguistico che permettesse a chi rileggeva il testo scritto di ricordarsi la "lettura" fatta dai Maestri e la norma di Halachà che ne era stata fissata.

 

7. L'opinione di Elia Benamozegh sull'origine della umanita (Adamo nel Gan Eden) e sul suo compito finale

Rifacciamoci ora a quanto scritto dal Rabbino livornese, Elia Benamozegh (1823-1900). Nel suo studio La Resurrezione secondo la Bibbia il Benamozegh si sofferma sui primi capitoli della Genesi: "Ma parliamo intanto dell'uomo solo. E domandiamo: è possibile che lo scopo da D-o propostosi, non sia mai raggiunto, che la creatura da Lui immaginata, non debba giammai esistere, che le condizioni favorevoli all'uomo elargite e perdute per sua colpa, non debbano mai essere riconquistate? ... Non si comprenderebbe questo racconto d'un bene perduto, se non per essere incitati a rientrarne in possesso. Perchè queste rivelazioni, questi precetti, questa attenta previdenza, questa direzione continua di cui l'uomo è ormai oggetto, se non per farlo risalire a passo a passo, col sudore della sua fronte, alle altezze serene, donde fu precipitato, se non per fargli riconquistare, con l'educazione, l'espiazione e la lotta, dopo il peccato, quel che egli possedeva nel suo stato d'innocenza avanti del peccato? Un antico cabbalista, R. Menachem Recanati, l'aveva già notato nel suo Behur 'al Hatorà: Prima di abbandonare la storia del Paradiso, osserviamo la causa per cui l'uomo ne e' cacciato, affinche', dice il testo: l'uomo non stenda la mano all'albero di vita, e mangiando i frutti, non viva eternamente. Ecco, dunque:

(1) l'attitudine dell'uomo a riconquistare la sua prerogativa antica;

(2) e infine, se lo scopo che Idd-o s'e' proposto nella creazione, deve essere raggiunto, bisogna che il frutto dell'albero di vita sia mangiato, tutto il contrario di quanto resulta dall'apparenza della narrazione. Ciò si fa chiaramente comprendere nel libro dei Proverbi. La legge, la scienza, ecco l' Albero di Vita che bisogna cercare, e il frutto del giusto è il frutto dell'albero di vita. Si paragonino a questi passi tutti quegli altri, senza numero, dove la legge, la scienza si dice concedere la vita, e ci si persuaderà che, pur significando, senza dubbio, la vita presente, si vuole esprimere la vita, la vita in generale, di cui il vivere presente è solo una fase e una conseguenza34".

Appare evidente, per il Benamozheg, non solo l'unitarietà del genere umano e quindi l'universalita' del messaggio biblico dei primi capitoli della Genesi, compresi i precetti noachidi, ma anche l'eterna attualità del messaggio biblico ed il dovere dell'umanità tutta di cercare di applicarlo: tale dovere, ci dice Benamozegh, non e' limitato nel tempo.

 

8. Conclusione

Dall'esame che abbiamo compiuto fino ad ora risulta che vi sono varie testimonianze sulla origine delle prime norme giuridiche: per i Romani, o i Sabini, una trasgressione al divieto di una norma religiosa sarebbe stata considerata da essi come NEFAS, ed un attenimento ad una condotta che non contravvenisse il divieto, sarebbe stata considerata FAS: vi è da vedere in questa attribuzione di norme fondamentali alla divinità il desiderio di avere alcune norme basilari di sicura giustizia.

E' interessante la definizione di giurisprudenza data da Ulpiano, e ripresa da Giustiniano: "Iuris prudentia est divinarum atque humanarum rerum notitia"35.

La relazione fra divino ed umano appare, nella definizione ulpianea, del giurista originario di Tiro, evidente. Tale definizione, scrive l'Orestano, "può infatti considerarsi derivata in linea diretta da quella stessa concezione che già aveva attribuito agli antichi pontefici, di cui i giuristi laici sono i continuatori ideali, la conoscenza delle res divinae e humanae, anche in quanto oggetto di normazioni giuridiche. Riportando infatti la definizione di Ulpiano alla distinzione fra ius divinum e ius humanum in base all'oggetto delle norme, essa non solo appare pienamente giustificata sia nel piano storico che in quello dommatico, ma illumina la persistenza dell'antica e primitiva concezione, anche per cio' che riguarda il modo di intendere tutti i passi (dei giuristi romani)"36.

Dal canto loro le fonti ebraiche parlano di una comune conoscenza da parte del genere umano tutto, proveniente da Adamo, del Signore e del Suo volere; anzi, secondo i Maestri dell'Ebraismo la legislazione divina universale inizia con i comandi del Signore ad Adamo, e si completa con la legislazione noachide, nell'ambito del patto stabilito dal Signore, unico D-o di Adamo e Noè, con Noè stesso (Genesi, IX, vv.8-17); risulta quindi evidente che quanto era stato comandato a Adamo prosegue a aver valore anche per Noè ed i suoi discendenti, cioè tutti gli esseri umani (in ebraico: benè adam, cioè figli dell'uomo, figli di Adamo); i comandi successivi non vengono quindi ad abolire la validità dei precedenti comandi divini.

Bisognerà aspettare la venuta di Abramo per avere una legislazione particolare per Abramo e la sua discendenza,un patto; tale patto, però, si aggiunge alle norme precedenti, così come la Rivelazione di D-o sul Sinai prosegue il patto di Abramo; scrive a tal proposito di nuovo Elia Benamozegh: "Pensate a quegli altri precetti che lo stesso Mosè confessa originati e praticati dai padri antichissimi, la circoncisione data ad Abraham, il lavoro imposto a Adamo, il dovere di prolificazione nato coll'uomo"37.

I Maestri dell'Ebraismo hanno effettuato, nel Midrash Echà, sulle lamentazioni di Geremia e a commento di un passo di Osea, un interessante parallelismo fra la cacciata di Adamo dal Gan Eden, dopo il peccato e la cacciata dei figli di Israele dalla terra d'Israele per aver trasgredito il patto.

 

 

1 Fustel de Coulanges, La cité antique (Paris, lib. III, chap. XI).         [ Links ]
2 Mi sono già occupato io stesso di questa problematica, e mi permetto quindi di rinviare il colto lettore a A.M. Rabello, Effetti personali della Patria Potestas, Pubblicazioni dell'Istituto di Diritto Romano di Milano, Milano, 1979, pp. 25 ss.
3 Commento alle Georgiche, 1, 269. Nelle Origines (V, 2,2) di Isidoro di Siviglia troviamo la seguente spiegazione: "Fas lex divina, Ius lex umana est".
4 M. Minerbi, "Alcune considerazioni sulla concezione del Diritto nell'esperienza giuridica romana e nel Diritto ebraico", in Studies in Judaism. Jubilee Volume presented to D. Kotlar, A.M. Rabello (ed.), Tel Aviv, 1975, pp. xlvii ss.         [ Links ]
5 De legibus (II, 8) e, in un altro passo: "Così la legge vera e primitiva, avendo carattere per ordinare e per proibire, è il diritto ragione di Juppiter supremo" (De legibus, II, 4).
6 di A. Berger, Philadelphia, 1953, p. 468.
7 In passato E. Cuq, s.v. JUS, in Dictionnaire des Antiquités Grecques et Romaines, (a cura di Daremberg et Saglio) Paris, 1877, III, I 731 ss.         [ Links ] scriveva: "Le mot Jus, pris dans son acceptation normale désigne le droit établit par opposition au droit inspiré par les dieux (Fas) et à la coutume des ancêtres (mores maiorum)". V. anche A. Nicoletti, s.v. Fas, in Novissimo Digesto Italiano, 7, 1961, col. 100 s.: "Fas inteso in senso obbiettivo può indicare non soltanto il lecito, ma tutto ciò che gli dei vogliono. Non i singoli riti ... ma i fondamentali doveri religiosi che costituiscono l'ius sacrum nelle varie manifestazioni".
8 Caecilius, Statius apud Servium, Aeneides, 2, 777.
9 Aeneides, I, 543.
10 F. Sini, "Fas et iura sinunt" (Verg., Georg. 1, 269). Contributo allo studio della nozione romana di fas, I. Il Sini conclude che "l'espressione fas est anche in Virgilio ha valore polivalente. Essa, al contrario di nefas (imperativo, naturalmente negativo, vietato), nel linguaggio virgiliano designa tanto atti e comportamenti non vietati, né comandati quanto atti e comportamenti ritenuti invece inderogabili sulla base del dovere religioso" sottolineando la relazione fra "obbligatorio", "permesso", "vietato"; si veda pure idem, Documenti sacerdotali di Roma antica. I. Libri e commentari, Sassari, 1983; idem, s.v. "Fas", in Enciclopedia Virgiliana, II, 1985 pp. 146-148. Osserva a proposito E. Paoli che, proprio la concordanza virgiliana fra divina humanaque iura "il faut entendre par fas le domaine des activités concédés par les dieux aux hommes": "Le monde juridique du paganisme romain", in RHD, 23, 1945, 1 ss.
11 L'Albanese, nelle sue Premesse allo studio del Diritto Privato Romano (Palermo, 1978),         [ Links ] osserva che "Fas è purtroppo un termine di discussa etimologia e di controverso valore. Si è pensato o a una radice (dha) allusiva al portare, al porre; o ad una radice (bha) allusiva, invece, al manifestare (cfr. Faino), al dire (cfr. Femi e fari-fatum); questa seconda connessione è già operata, talora con conseguenze improbabili, dagli antichi: ad es., Prisc., Partitiones duedecim versum Aeneidos 6,117 (ed. Keil, III, p. 486)".
12 A. Guarino, Storia del Diritto Romano, vi, Napoli, 1981, p. 119.
13 Si veda J. Klima, "Intorno al principio del taglione nelle leggi pre-hammurapiche", in Studi in onore di P. De Francisci, III, pp. 3 ss.         [ Links ]; B.S. Jackson (editor), Jewish Law and Legal History in the Modern World, Jewish Law Annual Supplement, con gli articoli di Jackson stesso (pp. 1 ss.) e di R. Yaron (pp. 27 ss.).
14 "Il fas fu, dunque, concepito ab origine come conseguenza indiretta della volontà divina. Fas fu il non nefas, fu la sfera di libertà lasciata dai numina agli uomini. Fu quindi, per definizione, l'espressione della volontà umana, sia pur condizionata dalle limitazioni del nefas. Tanto come sostantivo, quanto come predicato, la parola stette ad indicare un concetto formalmente positivo (il "lecito"), ma sostanzialmentre negativo, cioè il non vietato dai numina." A. Guarino, Storia del Diritto Romano, cit. p. 121; del Guarino si veda anche Le Origine Quiritarie, Napoli, 1973.
15 Si veda il primo capitolo "Fas et ius" del suo libro Du droit sacré au Droit civil, Paris, 1949, pp. 16 ss.; di P. Noailles, si veda anche: Fas et Jus, Etudes de droit romain, Paris, 1948.         [ Links ]
16 R. Orestano, "Dal ius al fas. Rapporti tra diritto divino e umano in Roma dall'eta primitiva all'età classica", Bullettino dell'Istituto di Diritto Romano (BIDR) 46, 1939-40, pp. 194 ss.         [ Links ]; Idem, "Elemento divino ed elemento umano nel diritto di Roma", Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto (RIFD), 21, 1941, p. 1 ss.; Idem, Fatti di normazione nell'esperienza romana arcaica, Torino 1967.
17 La tesi dell'Orestano è stata accolta, fra gli altri, da Max Kaser: in due importanti contributi lo studioso tedesco ha affrontato il problema della relazione fra "Religione e Diritto in Roma Arcaica", in Annali dell'Università di Catania, 3, 1949, pp. 77 ss.; e Das altrömische Ius, 1949, pp. 301 ss.: "il mio pensiero è che ius est significasse alle origini, la liceità di un comportamento concreto di un uomo rispetto ad un altro uomo, e valesse ad eliminare il carattere di iniuria alla lesione che il primo eventualmente apportasse al secondo. Fas est indicava invece la liceità di un certo comportamento verso la divinità con la conseguenza da escludere che esso costituisse una offesa alla medesima, cioè un nefas. "
18 Si consulti: M. Avi Yonah-I. Shatzman, Illustrated Encyclopaedia of the Classic World, New York, 1975, p. 401;         [ Links ] v. anche E.C. Evans, Cults of the Sabine Territory, 1939.         [ Links ]
19 Su cui si veda il suo volume in olandese Ius fasque, Amsterdam,1968, ed il riassunto in italiano "Ius fasque", in Labeo, vol. 16, 1970, pp. 140 ss., da cui sono tratte le citazioni.
20 Labeo, op. cit. p. 140.
21 Labeo, op. cit. p. 142.
22 p. 397 del riassunto francese.
23 pp. 397 s. del riassunto francese.
24 Labeo, op. cit. p. 170 s.
25 Sulla ipotesi sabina si veda anche lo studio dello storico E. Peruzzi, Origini di Roma, Firenze, 1970;         [ Links ] per alcune osservazioni critiche, rinvio alla mia recensione, apparsa in Archivio Giuridico, 181, 1971, pp. 197 ss. Per una critica dell'ipotesi della conquista sabina si veda Poucet, "Les Sabins aux origines de Rome", in Aufstieg und Niedergang der Roemischen Welt, I, I (1972), pp. 48 ss. Si veda anche U. Coli, Regnum, Studia et documenta historiae et iuris 17, 1951 (= Scritti di diritto romano I, Milano 1973, pp. 483 ss.         [ Links ]).
26 Anche i Greci avevano l'idea di una base religiosa delle leggi, come viene attribuito allo stesso Licurgo; si veda A. Biscardi, Diritto greco antico, Milano, 1982, p. 65.
27 New York, 1966 di cui si veda la mia Recensione in IURA, 22, 1971, pp. 551 ss. riprodotta ora in A.M. Rabello, Ebraismo e Diritto. Studi sul Diritto Ebraico e gli Ebrei nell'Impero Romano, scelti e raccolti da F. Lucrezi, Salerno, 2010, tomo II, pp. 195 ss.
28 Vol. 1, pp. 28 ss.
29 figlio di Shet, nipote di Adamo.
30 Ci si basa sul verso 26 del capitolo 4 della Genesi, come interpretato dai Maestri del Talmud: "allora si incominciò a chiamare nel nome degli dei", cioè - spiega il commentatore della Bibbia, Rashì (1040-1105) - si incominciò a vedere nell'uomo e negli astri degli esseri superiori, divini.
31 divenendo, cioè idolatra, come dice il Talmud, Shabbat, 118 b.
32 In ebraico: shéva mizvot bené Noach.
33 Se ne veda l'elenco in Toseftà, Avodà Zharà 8:4 e Talmud Babilonese, Sanhedrin 56 a; si veda pure A. Pallière, Le Sanctuaire inconnu, Paris, 1926; A. Lichtenstein, The Seven Laws of Noah, New York, 1981; S. Stone, "Sinaitic and Noahide Law: Legal Pluralism in Jewish Law", in Cardozo Law Review, 12, 1991, pp. 1157 ss.; N. Rakover, Law and the Noahides. Law as Universal Value, Jerusalem, 1998; A.M. Rabello, Introduzione al Diritto Ebraico, Torino, 2002, pp. 6 ss.; R. Fontana, Aimé Pallière. Un "cristiano" a servizio di Israele, Milano, 2001, cap. IV: "Il noachismo", pp. 87 ss.; Idem, I Precetti di Noè, in Bibbia e Oriente, 44, 2002, pp. 65 ss.; E. Benamozegh, Il mio Credo a cura di L. Amoroso, Pisa, 2002, pp. 53 ss.; A.M. Rabello, "Su alcune interpretazioni dei primi capitoli della Genesi nel pensiero del Rav Elia Benamozegh", in La Rassegna Mensile di Israel, 2003, pp. 25 ss.; S. Last Stone, "Legge sinaitica e legge noachide: il pluralismo giuridico nel diritto ebraico", in Daimon, 10, 20102011, pp. 19 ss.; F. Lucrezi, Il procurato incendio in diritto ebraico e romano. Studi sulla "Collatio" VI, Torino, 2012, pp. 73 ss.; R. Fontana, Informe mi hanno visto i tuoi occhi. Piccola miscellanea noachide, Cantalupa, 2012.
34 Riportato in E. Benamozegh, Scritti scelti, a cura di Alfredo S. Toaff, Roma, 1955, pp. 74 ss.
35 Institutiones Iustiniani 1,1,1; Ulpianus, Dig. 1,1,10,2.
36 Dal ius al fas, cit. supra nt. 17, pp. 205 s.
37 E. Benamozegh, Cinque conferenze sulla Pentecoste, Livorno, 1886, pp. 90 ss.         [ Links ] Si veda ora anche A. Lichtenstein, By His Light. Character and Values in the Service of God. Tel Aviv, 2012, pp. 19 ss. (in ebraico).

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