SciELO - Scientific Electronic Library Online

 
vol.20 issue2 author indexsubject indexarticles search
Home Pagealphabetic serial listing  

Services on Demand

Article

Indicators

Related links

  • On index processCited by Google
  • On index processSimilars in Google

Share


Fundamina

On-line version ISSN 2411-7870
Print version ISSN 1021-545X

Fundamina (Pretoria) vol.20 n.2 Pretoria  2014

 

Latino e altre lingue nel tardo antico: qualche considerazione sulle "piae causae"

 

 

Leo Peppe

Professor ordinario di Diritto romano, Università Roma Tre

 

 


ABSTRACT

In late antiquity and during the age of Justinian, new and multiform phenomena arose to answer the needs of monks, pilgrims, orphans, children, and aged people. These were different from the ecclesiae, and were given different names. All these names have the function of representing different charitable institutions, but each of them originated in a different and specific point of view. In the sources one finds venerabiles domus, piae causae and occasionally consortia. The term venerabiles domus reflects the material outlook, piae causae the purpose, and consortia the corporeality of human beings. The real novelty (appearing in AD 528: C.I. 1.2.19) is piae causae, which will prevail over other names. The use of these names challenges the linguistic and juridical competence of the user (a way of reasoning typical of classical Roman law).


 

 

1. Nel corso della preparazione dell'intervento richiestomi sul tema "Concretezza e astrattezza nella lingua e nel diritto di Roma" nel quadro del recente 17th Colloquium on Latin Linguistics1, tra le tante ovvie tematiche che in quella sede ho sfiorato ma non ho potuto trattare per ragioni di tempo, mi ê sembrato che potesse esservi l'attenzione ai cambiamenti linguistici del tardo antico e in particolare a quei cambiamenti che discendono dai rapporti tra civiltà romana ed altre culture, comprese quelle cd. barbare: un tema molto ampio, per la cui letteratura generale rinvio all'aggiornata bibliografía raccolta da Rosanna Sornicola nel suo recente libro del 20122. Ma in realtá, anche quando un titolo appare assai promettente in chiave generale, l'interesse primario o esclusivo cade sulla relazione del tutto privilegiata tra latino e greco; ad es., un recentissimo convegno napoletano3 aveva come titolo "Modelli di un multiculturalismo giuridico: il bilinguismo nel mondo antico. Diritto, prassi, insegnamento": un titolo che poteva far pensare ad un'apertura verso lingue diverse dal greco, ma poi le singole relazioni hanno in gran parte riguardato aspetti specifici della relazione greco/latino, mentre poche altre hanno avuto per oggetto temi medievali o tecnico-linguistici del bilinguismo.

Questa preferenza ê cosi ovvia che non ha bisogno di spiegazioni: la relazione greco/ latino é talmente importante da essere assorbente, dalle origini di Roma a Giustiniano; per l'età giustinianea ha scritto Fausto Goria: "lingua Romana o Romanorum é quella latina, contrapposta a quella greca"4.

Ma anche altre relazioni linguistiche sono state oggetto di studi approfonditi, privilegiandosi di volta in volta ció che il contesto cronologico portava a privilegiare: le lingue italiche prima, quelle mediorientali nella massima espansione dell'impero romano (si pensi al Libro siro-romano di diritto). Vi sono poi le notizie sparse, che potrebbero aprire squarci di riflessione, come ad es. il ruolo di interprete ed ambasciatore tra Romani e Celti affidato da Cesare a Gaio Valerio Procillo o Troucillo5, celta romanizzato di seconda generazione.

Ciò premesso, mi muoverò anch'io nel main stream della relazione latino/greco, con alcune brevi riflessioni sulla nascita di una nuova terminología giuridica romana sul finire del tardo antico.

2. Il mio punto di partenza é rappresentato da quella varia fenomenologia che nasce nel tardo antico in ambito cristiano per sopperire alle necessità di monaci, pellegrini, orfani, bambini, anziani: é una fenomenologia abbastanza ben distinta da quella dei veri e propri edifici di culto, le ecclesiae, e ricorrente nelle fonti prevalentemente sotto forma di elenchi puntuali di termini che sono prestiti dal greco, come ad es. in una costituzione di Giustiniano in materia di prescrizione di azioni; si tratta di C.I. 1.2.23 pr.: Imp. Iustinianus A. Iuliano pp.:

Ut inter divinum publicumque ius et privata commoda competens discretio sit, sancimus, si quis aliquam reliquerit hereditatem vel legatum vel fideicommissum vel donationis titulo aliquid dederit vel vendiderit sive sacrosanctis ecclesiis sive venerabilibus xenonibus vel ptochiis vel monasteriis masculorum vel virginum vel orphanotrophiis vel brephotrophiis vel gerontocomiis nec non iuri civitatum, relictorum vel donatorum vel venditorum eis sit longaeva exactio nulla temporis solita praescriptione coartanda (a. 530)6.

Si tratta di una materia che è stata studiata approfonditamente, come parte integrante di quello che è stato chiamato ius singulare ecclesiastico e che, iniziato con Costantino -che sarà sempre il punto di riferimento effettivo o comunque ideale della normazione successiva -, arriva alla sua sistemazione finale con Giustiniano nel contesto della prospettiva generale individuata nelle Institutiones giustinianee nel 533 come soluzioni adottate religionis velpietatis intuitu7: sulle tappe complesse di questo percorso rinvio al piú recente lavoro di Rosalba Arcuri8.

Qui vorrei occuparmi di un aspetto preliminare di questa materia: la terminologia usata nelle fonti. Infatti in età giustinianea nascerà una nuova terminologia latina a cogliere in espressioni unificanti queste varie realtá per le quali il latino ha utilizzato i termini greci: il sintagmapiae causae. Esso ricorre piú volte nelle fonti a partire dal 5289, ed è destinato a grande fortuna successiva, tanto da essere un cardine del successivo diritto canonico10 e del modello della nozione di "fondazione". La prima ricorrenza in latino11 è in C.I. 1.2.19: Imperator Justinianus:

Illud, quod ex veteribus legibus licet obscure positis a quibusdam attemptabatur, ut donationes super piis causis factae, licet minus in actis intimatae sint, tamen valeant, certo et dilucido iure taxamus, ut in aliis quidem casibus vetera iura super intimandis donationibus intacta maneant: si quis vero donationes usque ad quingentos solidos in quibuscumque rebus fecerit vel in sanctam ecclesiam vel in xenodochium vel in nosocomium vel in orphanotrophium vel in ptochotrophium vel in ipsos pauperes vel in quamcumque civitatem, istae donationes rell. (a. 528)12.

Se si pongono a confronto C.I. 1.2.19 e C.I. 1.2.23 pr. emerge l'ampiezza della gamma di soggetti ai quali le attribuzioni patrimoniali e le piae causae in particolare sono imputabili, tra i quali anche le civitates; a queste ultime - in sede di trattazione delle piae causae - nella manualistica e in letteratura in genere non si accenna, così come - ancora meno - si ricorda la possibilità che i beni relativi possano essere attribuiti ad un privato, con l'eccezione di Talamanca13.

Delle piae causae Orestano non arriva ad occuparsi nel suo volume sul problema delle persone giuridiche, anche se si riprometteva di farlo14: si tratta certamente di un argomento di grande importanza, sul quale esiste una notevole letteratura, a partire dal problema di fondo della loro natura, se il sintagma individua il patrimonio destinato o semplicemente lo scopo pio (caritatevole) che qualifica l'attribuzione di un bene15.

Ma in questa sede desidero evidenziare un solo punto, che mi sembra interessante nella nostra prospettiva: oltre a piae causae è dato trovare nelle fonti venerabiles domus e del resto - come, ad es., in C.I. 1.2.23 pr. precedentemente citato - spesso venerabilis viene usato in relazione con quelle che certamente sono piae causae. Zimmermann16 afferma che queste istituzioni caritatevoli sono "generally called venerabiles domus" ed ê vero che per la loro importanza le piae causae sono le venerabiles domus per eccellenza, ma in realtá, come risulta dall'elencazione fatta da Alessandro Bucci17 e come aveva giá rilevato Giorgio Barone Adesi in un Convegno dell'Accademia Costantiniana di vent'anni fa18, la nozione di domus venerabilis è piùj ampia di quella di piae causae, ricomprendendo monasteri, oratorii e piae causae. Inoltre, secondo Bucci, tra le piae causae devono essere ricompresi i consortia, parola che indicherebbe genericamente tutte quelle istituzioni di beneficenza che non rientravano tra quelle esplicitamente su ricordate; su quest'ultimo punto è possibile manifestare qualche dubbio e già Ferrini19 qualificava come "singolare" l'uso di consortium in questo contesto. Infatti nel primo libro del codice giustinianeo consortium appare sempre usato in riferimento a collettività di persone20 e non a quelle che poi saranno le piae causae, un uso consolidato da tempo e precedente all'etá giustinianea; se invece si prende in considerazione C.I. 1.2.22 pr. del 529, qui ricorre consortium in relazione con quelle che sono le piae causae, tant' è vero che ricorre il sintagma pia consortia:

C.I. 1.2.22 pr: Imperator Justinianus: Sancimus res ad venerabiles ecclesias vel xenones vel monasteria vel ptochotrophia vel brephotrophia vel orphanotrophia vel gerontocomia vel si quid aliud tale consortium descendentes ex qualicumque curiali liberalitate sive inter vivos sive mortis causa sive in ultimis voluntatibus habita lucrativorum inscriptionibus liberas immunesque esse: lege scilicet, quae super huiusmodi inscriptionibus posita est, in aliis quidem personis suum robur obtinente, in parte autem ecclesiastica vel aliarum domuum, quae piis consortiis deputatae sunt, suum vigorem pietatis intuitu mitigante. Cur enim non faciamus discrimen inter res divinas et humanas, et quare non competens praerogativa caelesti favori conservetur?

La circostanza che in questa costituzione sono venerabiles anche le ecclesiae (e non sacrosanctae, come in C.I. 1.2.23 pr. su citato21) può porsi come indizio di una terminologia ancora oscillante ed incerta e destinata a rimanerlo ancora, se si considerano due importanti testimonianze successive: I. 3.27.3 (ove si legge "sacrosanctis ecclesiis ceterisque venerabilibus locis") e la fondamentale Novella 120 (Nov. 120.6.1) del 544, che comprende tra le venerabiles domus anche ed ancora le chiese; altrettanto potrebbe dirsi dell'inserimento dei monasteria tra le istituzioni caritatevoli sia in C.I. 1.2.22 pr. sia in C.I. 1.2.23 pr. Ma pare indubitabile che in C.I. 1.2.22 pr. consortia sia termine generale che si contrappone ad ecclesia e che le relative case si riferiscono a due tipologie di soggetti diversi: "in parte autem ecclesiastica vel aliarum domuum, quae piis consortiis deputatae sunt, ... ."

A questo punto mi sembra si possa concludere sulla coesistenza in età giustinianea di tre diverse espressioni, venerabiles domus, piae causae e consortia (anch'essi definiti pia), ad indicare e riassumere in un'unica espressione sostanzialmente la stessa fenomenología socio-economica, le istituzioni di beneficienza, e la medesima prospettiva giuridica di fondo, una loro "personificazione".

Ma è indubitabile altresì che tali espressioni originano ciascuna in modo privilegiato da una particolare prospettiva; in ispecie:

(a) la venerabilis domus guarda all'istituzione in una prospettiva oggettiva, materiale22, quella dell'edificio che l'accoglie, con un uso da una parte piuttosto generico e non del tutto specializzato, dall'altra invece correlato a situazioni particolari: esemplare il caso della megale ecclesia di Costantinopoli23;

(b) la pia causa esprime la finalità (caritatevole) della istituzione/destinazione24: esso appare essere il sintagma piú recente e specializzato e probabilmente perciò destinato alla maggior fortuna tecnico-giuridica;

(c) infine, l'uso eccezionale e tardo, rispetto all'uso tradizionale, di consortium in riferimento alle istituzioni caritatevoli e che per la sua storia precedente ed assai risalente (ricordo il gaiano "consortium ercto non cito") di insieme qualificato di persone appare guardare essenzialmente agli esseri umani che ne sono il fine e da quelle istituzioni ricevono assistenza: quindi l'istituzione si pone come un insieme di esseri umani considerati unitariamente in ragione di una loro specifica caratteristica (orfani, pellegrini, malati, etc.).

La spiegazione delle cause di questa sovrapposizione linguistica dovrebbe certamente essere ricercata nelle concrete vicende della legislazione e nelle differenti prospettive che l'hanno ispirata; ma ciò significherebbe ripercorrere due secoli di costituzioni imperiali, al termine dei quali solo emerge la vera novità rappresentata dalle piae causae. Qui mi limito a constatare come non mi sembra che tale sovrapposizione sia stata utilizzata nella tradizione degli studi come possibile strumento nell'analisi della tarda legislazione imperiale e quindi la sua presa in considerazione potrebbe essere forse di qualche aiuto per coloro che volessero riprendere funditus l'intera materia.

A fronte di queste oscillazioni linguistiche mi sembrerebbe comunque difficilmente accettabile concludere che le tre prospettive su indicate (materiale, finalistica ed associativa) possano essere unificate - anche solo a partire da un determinato momento - come i tre elementi "inscindibili" di un nuovo ente/persona (quasi come i tre "elementi" dello Stato moderno), destinato a superare e soppiantare i soggetti fisici25.

3. Vorrei chiudere con un'ultima considerazione. Nelle fonti ora citate e delle quali si è cercato di individuare aspetti di novità o particolarità, è anche possibile rintracciare modalità espressive pienamente tradizionali della lingua latina, anche giuridica. Infatti una delle fonti su citate può essere il punto d'avvio per la considerazione di un altro possibile modo di superamento della necessità di individuazione dell'oggetto specificatamente e nominativamente. In C.I. 1.2.22 pr. su citata si legge infatti prima "quid aliud tale consortium "poi" in parte autem ecclesiastica vel aliarum domuum, quae piis consortiis deputatae sunt" e mi sembra si possa dire che aliud e aliarum abbiano la funzione di evitare pedisseque elencazioni in relazione alle classi tale consortium e domus deputatae, rinviando per la determinazione della loro estensione alla competenza linguistica e giuridica del lettore in un contesto piuttosto semplice.

Diverso e più complesso, ma sostanzialmente analogo, appare l'uso di alius in D. 18.3.6 pr. (Scaev. l. 2 resp.): "De lege commissoria interrogatus ita respondit, si per emptorem factum sit, quo minus legi pareretur, ut ea lege uti venditor veli, fundos inemptos fore et id, quo arrae vel alio nomine datum esset, apud venditorem remansurum". Il testo è probabilmente interpolate26, ma non per quanto qui interessa, vel alio nomine: in questo sintagma Scevola molto probabilmente non utilizza nomen come (altro tipo di) contratto o (di) diritto, ma semplicemente come denominazione. In altri termini, al giurista non interessa il nome, "ma solo la funzione come pars pretii dell'arr(h)a stabilita dalle parti", come scrive Julia Gokel27; in questo caso, la rinuncia a maggiore determinatezza tramite il rinvio a qualsiasi altra denominazione presuppone la competenza specifica del giurista ad individuare l'unicità della funzione di quanto voluto dalle parti. Da tutto ciò risulta evidente che si richiede una profonda capacitá analitica e sistemica da parte dell'interprete28.

In conclusione, è questo un piccolo esempio di come le tarde costituzioni imperiali conservino ancora moduli pragmatici in senso linguistico già propri del diritto classico.

 

 

1 Roma 20-25 maggio 2013. L'oggetto di queste pagine intende anche rendere omaggio alla particolare attenzione che Laurens Winkel ha sempre avuto per gli aspetti linguistici e definitori del latino giuridico.
2 Sornicola "Bilinguismo e diglossia dei territori bizantini e longobardi del mezzogiorno. Le testimonianze dei documenti del IX e X secolo" (2012) Quad. 59 Accad. Pontaniana 89ss.
3 Napoli 23-24 maggio 2013.
4 Goria "Romani, cittadinanza ed estensione della legislazione imperiale nelle costituzioni di Giustiniano" 1984 La nozione di "Romano" tra cittadinanza e universalita (Da Roma alla terza Roma II) 277ss.         [ Links ]
5 Caes. B. g. 1.19.3 e 1.41.4.
6 Su C.I. 1.2.23 pr. e la tematica della prescrizione vd. spec. Kaiser "Zur hundertjahrigen Verjahrung zugunsten der romischen Kirche" 1999 ZSS, Kan.-Abt., 62ss.
7 I. 3.27.7.
8 Arcuri "I beni della Chiesa nel VI sec. D.C. tra economia, diritto e religione" 2012 Atti Accad. Pontaniana n.s. 123ss., con completa bibliografía (in part. su Nov. 120.6.2 vd. anche Saccoccio Aliud pro alio consentiente creditore in solutum dare [2008] 282ss.).
9 C.I 1.2.19, cosi Pugliese "Assistenza all'infanzia nel Principato e 'piae causae' del diritto romano cristiano" 1984 Sodalitas. Studi Guarino VII 3185. Sulle piae causae, da ult., in termini generali Peppe "Il problema delle persone giuridiche in diritto romano" 2010 Studi Martini III 18.
10 Mortazo Tractatus de causis piis, I, I (1686) col. I, n. 6: "Causa pia est quando aliquid conceditur intuitu Dei ad cultum divinum, vel ad alia opera misericordiae ob animae bonum".
11 In greco in C.I. 1.3.45 (a. 530): ευσεβείς αιτιαι. Ma, come giustamente osserva Pugliese (n 9) 3185, nelle fonti si fa frequentemente riferimento piuttosto alle specifiche istituzioni.
12 Sul regime della registrazione apud acta delle donazioni di cui in C.I. 1.2.19 vd. Barone Adesi "Il sistema giustinianeo delle proprietá ecclesiastiche" 1988 La proprieta e le proprieta. Pontignano, 30 sett.-3 ott. 1985 (a cura di Cortese) 89.
13 Talamanca Istituzioni di diritto romano (1990) 184; ricorda questa circostanza anche Pugliese (n 9) 3188. Sul privato vd. Hagemann Die Stellung der Piae Causae nach justinianischem Recht (1953) 29ss.; Id. "Die rechtliche Stellung der christlichen Wohltatigkeits Anstalten" 1956 RIDA 216ss.
14 Orestano Il "problema delle persone giuridiche" in diritto romano (1968) 196. Si tratta altresi di argomenti giá percorsi dall'A. in altre sedi (vd. Presentazione al libro), in particolare, per quanto qui interessa, in Orestano "Beni dei monaci e dei monasteri nella legislazione giustinianea" 1956 Studi De Francisci III 561ss. (=in Id. Scritti III (1998) 1243ss.).
15 Ancora fondamentale al proposito Cugia "Il termine 'piae causae', contributo alla terminologia delle persone giuridiche" 1916 Studi Fadda V 221ss., per il quale la pietas che spinge alla beneficenza è anche l'istituzione stessa che riceve. Lucida rappresentazione della duplice interpretazione data in dottrina del sintagma piae causae in Volterra Istituzioni di diritto romano (1961) 122s.; Blanch Nougués "La responsabilidad de los administradores de las piae causae en el derecho romano justinianeo" 2002 RIDA 129 n 1. Per la definizione piú corrente di piae causae come "beni lasciati o donati da cristiani abbienti ... col vincolo ... di osservare la destinazione all'assistenza o beneficenza stabilita" prima a singole chiese o soprattutto a persone fisiche (in primis i vescovi) poi alle stesse istituzioni, v. Pugliese Istituzioni di diritto romano3 (1991) 836.
16 Zimmermann The Law of Obligations. Roman Foundations of the Civilian Tradition (1990) 493 n 95.         [ Links ]
17 A. Bucci La vicenda giuridica dei beni ecclesiastici della Chiesa (2012) 39.
18 Barone Adesi "Dal dibattito cristiano sulla destinazione dei beni economici alla configurazione in termini di persona delle venerabiles domus destinate piis causis" 1993 Atti Accad. Rom. Costantiniana IX 231ss.
19 Ferrini Manuale di Pandette (1904) 113 n. 1.
20 C.I. 1.1.4.3: consortio clericorum (a. 452); 1.3.9: ad diaconissarum consortium (a. 390=C.Th. 16.2.27); 1.3.19: consortio sororiae (a. 420); 1.3.27: ad consortium ... clericorum (a. 466); 1.3.36.1: clericorum consortiis (a. 484); 1.7.3: consortio omnium (a. 391).
21 A dimostrazione ulteriore della variabilitá degli aggettivi attribuiti alla parola ecclesia, appare esemplare C.I. 1.2.14 (a. 470): religiosa, venerabilis, sacrosancta et religiosa.
22 Piuttosto che "topografica", come nella formulazione di Orestano (n 9 Beni) 590 (=1272).
23 Al proposito v. spec. De Micheli La ΜΕΓAAΗ ΕΚΚAΗΣΙΑ nel lessico e nel diritto di Giustiniano (1990).
24 Buckland A Text-Book ofRomanLaw3 riv. da Stein (1963) 178 n 3.
25 È questa la conclusione di Barone Adesi (n 18), ove in fine (264) si legge: "le venerabiles domus risultano, dunque, costituite da 3 elementi (topografico, antropomorfico e teleologico) inscindibili .", come risulterebbe da C.I. 1.3.55(51).
26 Gokel "'Arrae vel alio nomine', un responso di Quinto Cervidio Scevola tra considerazione filologica e dogmatica-sistematica" (2012) Dogmengeschichte und historische Individuality der romischen Juristen. Storia dei dogmi e individualita storica dei giuristi romani, Atti del Seminario internazionale (Montepulciano 14-17 giugno 2011) 634ss., spec. 651s.
27 Gokel (26) 658.
28 Considerazioni analoghe si possono fare per l'uso dell'aggettivo ceterus: ad es. ceterae res in Gai 2.54, oppure ceterae res in D. 44.1.35 pr. (Paul. l. 1 ad ed.): "In honorariis actionibus sic esse definiendum Cassius ait, ut quae rei persecutionem habeant, hae etiam post annum darentur, ceterae intra annum". Identico uso nel tardo antico, ad es., nel giá citato I. 3.21.1 (sacrosanctis ecclesiis ceterisque venerabilibus locis).

Creative Commons License All the contents of this journal, except where otherwise noted, is licensed under a Creative Commons Attribution License