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Fundamina

On-line version ISSN 2411-7870
Print version ISSN 1021-545X

Fundamina (Pretoria) vol.20 n.2 Pretoria  2014

 

Cederé il passo alle signore

 

 

Arrigo D. Manfredini

Professore emerito Universitá di Ferrara

 

 


ABSTRACT

Recent investigations dwelled on gestures of deference owed to magistrates (such as giving way, dismounting from a horse, removing one's hat, standing up; principal sources: Serv. Aen. 11, 500; Sen. epist. 64, 10) or other citizens (such as salutatio matutina, table seats etc.), with the difference that the former are juridically obligatory, the latter are only so socially. On the other hand, very little attention has been granted to an old article giving way to matronae over men, on which Plut. Rom. 20,3 e Val. Max. 5,2,1 feminis semita viri cederent). At a later age, a few references to the ancient "positioning" of matronae are found in the Digest, particularly in an excerpt by Ulpian, in D. 1,9,1, best known for the famous sentence maior dignitas est in sexu virili. According to the illuminating interpretation of Mario Salomonio degli Alberteschi, Ulpian's quaestio should be read in terms of institutional dignities, instead of pre-emption rights in trials of adjudication. According to the scholar, men would "stay ahead" of women (virum praeferendum) even if they were inferior to them. Stressing the spatial meaning of the verb praeferre over that of "to prefer", we suggest that already in Ulpian's age, high-ranking women had lost their place ahead of men (perhaps even ahead of magistrates), which they had in the "matronal age of honor". Even in the case of women with consular dignity, they would be preceded not only by consulares but also by praefectorii. For instance, this happened in theatre, as it appears in the Ulpianean text's version of B. 6,1,1.


 

 

1. Il linguaggio del corpo

L'antropologia del gesto1. Il corpo, con le sue movenze e le sue posture, offre un vasto campo di significati che oltrepassano l'interesse antropologico e sociale, per investire in pieno altri settori di studio, tra cui il diritto.

Per quanto riguarda i "corpi romani"2, questo particolare punto di vista della comunicazione corporale ha messo al centro della pagina i gesti di saluto, in particolare i gesti di ossequio dovuti ai magistrati3 - alzarsi, cedere il passo, smontare da cavallo o dalla carrozza, scoprirsi il capo - gesti che trascendono la sfera dell'etichetta, e la cui natura obbligatoria e coercibile non lascia dubbi. Essi svelano, come mette in luce un recente saggio dal significativo titolo Positions du corps, gestes et hiérarchie sociale a Rome4, inattese "gerarchizzazioni da saluto", non sfuggite alla moderna riflessione giuspubblicistica5.

Sennonché, al centro di questi saluti "obbligatori", secondo noi, non sono stati solo i magistrati, ma anche le donne. Almeno per quanto attiene alla precedenza. In date epoche le donne di rango e le matrone6 hanno goduto del diritto di precedenza sugli uomini; forse, magistrati compresi7. Di tutto questo nelle fonti restano solo deboli tracce che giova comunque rimeditare, con l'apporto di due testi giuridici che non ci risulta siano mai stati richiamati al riguardo.

 

2. Gesti di ossequio per magistrati e matrone

Conviene partire da una testimonianza che, quantunque tarda, é la sola a proporre una classificazione apparentemente esaustiva di queste forme di ossequio, e ad attribuirle alla sfera delle onorificenze magistratuali8. Servio Onorato, lo scoliaste di Virgilio che vive tra il IV e il V sec. d.C., con lo sguardo proteso su un passato chissá quanto da lui distante, afferma che presso i Romani erano quattro i gesti pertinenti alla onorificenza (ad honorificentiam): scendere da cavallo, scoprirsi il capo, cedere il passo (il passaggio), alzarsi (equo desilere, caput aperire, via decedere, adsurgere). "Dicevano che fosse anche questo ció che gli araldi conclamavano quando precedevano i magistrati (Hoc etiam praecones praeeuntes magistratus clamare dicebantur)9". L? etiam avvalora la presenza, nel testo, di due distinte informazioni, un elenco di gesti ad honorificentiam e la loro corrispondenza a quelli che si dovevano ai magistrati.

Una conferma del numero e della tipología serviana ci viene da Seneca10. Il filosofo, in una suggestiva riflessione che muove dal dovere di onorare e venerare i grandi uomini, precettori del genere umano, osserva: "Se avró visto un console o un pretore, io faró tutto ció che si suole fare per rendere onore ad un magistrato: scenderó da cavallo (equo desiliam), mi scopriró il capo (caput adaperiam), cederó il cammino (semita cedam). Potró mai ricevere nel mio animo senza grandissima dignitá i Catoni, Lelio, Socrate, Platone, Zenone e Cleante? Io li venero e dinanzi a cotanti nomi sempre mi alzo in piedi (adsurgo)11".

Quattro gesti di onorificenza "dovuti" ai magistrati, ma non esclusivamente riservati a loro. Come ci apprende Cicerone, cedere il passo o levarsi in piedi facevano parte di un piú ampio numero di segni di omaggio che appartenevano alla quotidianitá della vita di relazione: "Effettivamente, i seguenti atti, che sembrano di poco conto e comuni, sono delle onorificenze (honorabilia): essere salutati, essere avvicinati, vedersi cedere il passo, il fatto che qualcuno si alzi al nostro cospetto, ci faccia corteo, ci accompagni o ci consulti. Comportamenti che si osservano da noi come in altre citta e con tanta maggiore cura quantopiú sono citta civili"12. Cicerone elenca sette comportamenti rispettosi, ma certamente ce n'erano altri non ricordati13. E la mancata menzione - in questa prospettiva di gesti di ordinaria politesse - dello scendere da cavallo o del togliersi il copricapo, non dipende che dal carattere esemplificativo del testo14.

Orbene, ciò che faceva la differenza tra i gesti onorifici per i magistrati e quelli riservati agli altri comuni mortali, era l'elemento della cogenza. Per i primi, l'obbligo di tali gesti era imposto da mores pubblici, sul cui rispetto vigilavano i littori15. Viceversa, nei confronti delle persone comuni, queste condotte obbedivano solo al galateo e all'etichetta, e la loro mancata osservanza poteva generare conseguenze sul piano delle relazioni personali, piú gravi quando si trattava di gerarchizzazioni familiari e potestative (si pensi al rito complesso della salutatio matutina o, all'interno della famiglia, al mancato rispetto della collocazione spaziale o posturale del pater o degli anziani16).

Quanto all'obbligatorietà e alla cogenza per i magistrati, non ci sono dubbi. Basti ricordare il celeberrimo episodio dell'incontro, nel 213 a.C., tra il console Q. Fabio Massimo, e suo padre (proconsole o legato17) che avanza a cavallo. Quest'ultimo non scende a bella posta, per mettere alla prova la consapevolezza, nel figlio, della propria autoritá di console. I littori non osano ordinare al padre di scendere da cavallo ma èlo stesso console che fa loro segno di intervenire. Il padre obbedisce e si congratula con il figlio18. Dunque, sono i littori di scorta, o lo stesso magistrate19, ad ordinare a gran voce il rispetto dei gesti di onorificenza20. A cui, palesemente, sono tenuti anche i magistrati di rango inferiore21. A proposito di rango, forse sono fatte salve alcune situazioni particolari, come quella degli edili, che, seppure sprovvisti (sembra) di littori, possono pretendere dai censori che si alzino22 o analogo potere dei tribuni23, per tacere dei senatori che, all'opposto, hanno il diritto di stare seduti al cospetto dei magistrati24. E forse lo stesso diritto avevano le donne25.

 

3. L'epopea delle matrone

Lasciando in disparte il profilo cultuale e religioso dell'ordo matronarum26, dal quale probabilmente é derivata la configurazione delle antiche matrone quale gruppo sociale di rilevanza politica non trascurabile, osserviamo piuttosto alcuni remoti eventi pubblici di cui esse sarebbero state protagoniste e per i quali avrebbero meritato importanti riconoscimenti27. "Honneurs rituels et privileges publics", qualcuno li ha chiamati28. Giova osservare che, insieme, vengono a formare una specie di "statuto delle matrone", di "carta dei diritti" delle signore, dall'insolita forza espressiva se situato in epoca tanto risalente.

Cominciamo dall'evento piú antico. Siamo nel pieno della guerra "tra i Romulidi, il vecchio Tazio e i severi abitanti di Curi" come dice Virgilio29. Le mulieres Sabinae30, che, come é stato detto, rappresentano l'archetipo delle matronae romane31, intervengono oratrices pactis et foederibus32 per dissuadere - i padri e i fratelli da una parte e i mariti dall'altra - dal continuare il lacerante conflitto. Il loro spettacolare intervento porta la pace. Tralasciando gli accordi propriamente costituzionali tra Romani e Sabini33, apprendiamo da Plutarco di un accordo tra i capi dei due popoli che esenta le donne dal lavoro e dai servizi, tranne la filatura della lana34. Su questa testimonianza - che costruisce come un privilegio la tradizionale esclusione dal lavoro delle romane di rango - sono sorprendentemente scarse le riflessioni degli studiosi. Plutarco35 aggiunge che altri segni di onore furono concessi alle donne, tra cui la proibizione per gli uomini di usare al loro cospetto un linguaggio scurrile, di esibire la nuditá del corpo, e, tra l'altro, έξίστασθαι µεν όδοΰ βαδιζούσαις, "cedere la via alle donne che passano". Sanzione comune per queste infrazioni, la possibilità di agire davanti ai giudici dell'omicidio36. Tra un momento ritorneremo sul punto.

Un accenno ai carpenti e ai pilenti e all'alterno privilegio attribuito alle matrone di andare in carrozza, tra doveri cultuali e libertá di movimento. Secondo ovidio, prima abbiamo le ausoniae matres che potevano scorazzare sui carpenti. Poi questo honor é tolto e le matrone, d'accordo, decidono di non dare piú discendenti ai loro ingrati mariti e coerentemente ricorrono a crudeli forme abortive. Plutarco accredita piuttosto una specie di sciopero dell'amore sul modello della Lisistrata di Aristofane37. Comunque si dice che i senatori, dopo aver redarguito le donne sposate, abbiano restituito lo ius exemptum38. Questo racconto ovidiano é apparso per molti versi sospetto39, a vantaggio di quanto affermano Livio e Festo che assegnano alle matrone il privilegio delle carrozze per avere donato il loro oro al fine di compier il voto fatto da Camillo ad Apollo Pizio a proposito della presa di Veio. Racconta lo storico che fu conseguito dalle matrone l' honor "di servirsi del pilento per i sacra e i giochi, e del carpento per tutti i giorni fasti o no"40. In ogni caso, nelle fonti antiche piú tarde, non é compatta l'idea che ilpilentum servisse per le funzioni sacre41. L'immagine virgiliana dei "molli" pilenti usati dalle matres ci sembra poco consona a vetture rituali42, invece pumpaticum é piuttosto definito il carpento43. Comunque sia, l'onore della carrozza (non quella "cultuale") sarebbe stato soppresso dalla legge oppia perché "lussuoso"44 e poi restituito45. Tralasciamo le successive vicende del diritto alla carrozza46 che forse nasconde sul piano simbolico un aspetto non irrilevante della questione femminile romana, non sufficientemente considerato dal vasto e devoto stuolo degli studiosi di questo tema. La carrozza come "luogo franco" per la donna, che la esime dall'obbligo di adsurgere al cospetto di un magistrate, e la franchigia che si estende anche al coniuge che l'accompagna. Ce ne parla un testo di Festo, corrotto ma agevolmente integrabile con l'epitome di Paolo Diacono: "le matrone non possono essere spostate dai magistrati perché non sembrino colpite, toccate, né, se gravide, scosse. Per questo motivo, dice Verrio, neppure i loro mariti che siedono con le mogli sono costretti a scendere dal carro quando trasportati da un comune veicolo"47. Va segnalata la lettura estensiva che Mommsen dá del passo, nel senso che le matrone sarebbero state esentate dal compiere ogni gesto di onorificenza al cospetto dei magistrati48. Forse in quanto "intoccabili" da mano estranea, e quindi tutelate da ogni azione coercitiva su di loro49. Niente "cariche" littorie contro di loro, quindi. Se mai, erano loro ad avere i littori, come senz'altro li hanno avuti fin dalle origini50 le vestali e in età del principato, talune signore della domus imperiale51.

 

4. Ut matronis semita viri cederent

E veniamo alla mobilitazione per la vicenda di Coriolano. Come premio per averlo convinto a togliere l'assedio a Roma e per avere dimostrato quanto la stola potesse piú della spada, le matrone ottengono per senatoconsulto importanti onori. Valerio Massimo ricorda la nuova insegna delle vittae che si aggiunge ai vecchi orecchini, menziona la stola (forse lo ius stolae della tradizione successiva52?), le vesti purpuree e gioielli d'oro; e, ció che per noi piú conta, il senato sanxit namque ut feminis semita uiri cederent 53.

Prima Plutarco (con riferimento alle donne sabine, romanizzate con una vis a quanto pare grata) e ora Valerio Massino (con riguardo alle matrone scese in campo per Coriolano), ci propongono con espressioni sinonime έξίστασθαι µεν όδοΰ βαδιζούσαις,54 e feminis semita cederent55) una antica tradizione che rinvia all'obbligo per gli uomini di cedere il passo alle matrone. "Cedere (cedere, piú usato decedere) il marciapiede (semita) o la via (via)" significa "cedere il passo", nel senso spaziale di "cedere il passaggio"56. Quella di Valerio Massimo é la sola testimonianza, nella lingua di Roma, riferita alle matrone, ma non mancano altri documenti dell'espressione (de)cedere via, (de)cedere semita, riferita a svariati contesti, soprattutto per indicare il gesto d'onore ai magistrati57. Il suo significato di "cedere il passo" ad una matrona, nel senso traslato di "lasciarla andare davanti", "starle dietro" rispetto alla sua posizione in uno spazio pubblico, ci pare una opportuna precisazione. Quanto al "significato onorifico" di questo gesto, non resta che rinviare alla riflessione condotta in letteratura sull'analogo atteggiamento riservato ai magistrati58.

 

5. Quel poco che resta, in età avanzata, dell'antico "posiziona-mento" matronale. Maior dignitas est in sexu virili

Nel commento ulpianeo all' Editto, tra i vari casi in cui il pretore concede l'a. iniuriarum é segnalato quello di chi allontana il comes di una matronali habitu femina59. Ulpiano, richiamando Labeone, spiega chi é un comes:

Comitem accipere debemus eum, qui comitetur et sequatur et (ut ait Labeo) sive liberum sive servum sive masculum sive feminam: et ita comitem Labeo definit "qui frequentandi cuiusque causa ut sequeretur destinatus in publico privatove abductus fuerit". Inter comites utique et paedagogi erunt60.

Gli accompagnatori della donna - che possono essere persone di qualsiasi stato e genere, liberi, schiavi, uomini e donne - non le stanno di fianco o davanti, ma la seguono. L'allontanamento forzato o capzioso di uno del seguito costituisce oltraggio alla donna soprattutto se in abito matronale61. E' di tutta evidenza che a noi interessa mettere in relazione il "seguito", o il "codazzo" della donna che va in giro all'epoca di Labeone ed Ulpiano, con l'antico diritto a vedersi cedere semita, a "stare davanti". In questo contesto si colloca anche la figura dell'adsectator l'adescatore che agisce alle spalle (sector é un rafforzativo di sequor)62.

Per concludere, vediamo ancora un passo di ulpiano che introduce D. 9,1 de senatoribus. un titolo abbastanza disorganico sull' ordo senatorius, sulle differenti dignitates e le loro estensioni a figli e mogli63.

Questo leggiamo nel principio del frammento: "nessuno dubita che un uomo di rango consolare debba essere anteposto ad una donna di rango consolare. Ma si puó discutere se un uomo prefettorio sia anteposto a una donna consolare. Ritengo che lo sia perché nel sesso maschile vi é maggiore dignitá" (consulari feminae utique consularem virum praeferendum nemo ambigit. sed vir praefectorius an consulari feminae praeferatur, videndum. putem praeferri, quia maior dignitas est in sexu virili)64.

Del passo è celeberrima l'estrapolazione della massima maior dignitas est in sexu virili, portatrice nei secoli del vincente messaggio maschilista circa la "superioritá" del sesso maschile65 ma che in origine questo non significa66. Un altro elemento di curiositá é nel paragrafo 1, là dove si afferma che si intende per donne consolari le mogli dei consolari. Saturnino aggiunge anche le madri dei consolari, ma, secondo ulpiano, é un'idea tutta e solo sua, fuori dallo spazio e dal tempo (Consulares autem feminas dicimus consularium uxores: adicit Saturninus etiam matres, quod nec usquam relatum est nec umquam receptum67). Tant'é vero che, nella tradizione successiva, si é formato l'uso di dire excepto Saturnino per sottolineare che un'opinione é universalmente condivisa68.

Ma veniamo al punto che ci interessa. Praeferre, nel contesto del titolo giustinianeo, pertinet ad locum, non ad aestimationem, come scandisce il thesaurus l.l. Praeferre vale "anteporre" sul piano della scacchiera delle dignitates69. E se cosi é, dobbiamo prendere atto che, dopo tanti secoli, le donne di rango70 non stanno piú davanti a tutti gli uomini (forse anche ai magistrati), come in quella lontana "etá matronale degli onori", di cui si é detto, bensi dietro agli uomini. Anche se si tratta di donne con dignitá consolare esse vengo posposte non solo ai consolari ma anche ai prefettorii. Per esempio a teatro, dove conduce il testo nella versione dei Basilici: "Non solo un consolare ma anche un prefetto é anteposto (προτιµάται), nei posti di prima fila (έν ταΐς προεδρίαις) ad una donna consolare: maggiore é infatti la dignitas nel sesso maschile71".

Precedenza o prelazione? Una diversa lettura del passo vuole che Ulpiano non si stia occupando di dignitá nel senso di gradi onorifici bensi di chi debba essere preferito - tra un consularis, un praefectorius e una uxor consularis - nel procedimento di aggiudicazione dei beni di un debitore. Questa opinione è già presente nella Glossa ordinaria72, è rilanciata come nuova da Lenel73, e ripresa da qualche studioso moderno74. Effettivamente, nel libro 62 ad edictum, da cui proviene il brano, il giurista si é occupato anche (non solo) della bonorum venditio75. Ma, in ogni caso, almeno nella declinazione giustinianea del passo, si tratta di precedenza e non di prelazione76.

Non abbiamo trovato altro sulla sopravvivenza dell'antico obbligo maschile di "cedere il passo" alle donne. Forse per educazione si continuava a farlo come (talvolta) lo si fa oggi. Ma ormai la concezione imperante era appunto che maior dignitas est in sexu virili. Donne, dietrofront.

 

 

1 Citazione di M. Jousse, L'anthropologie du geste, Paris, Gallimar, 1974 (trad. it. di E. De Rosa, L'antropologia del gesto, Roma, Edizioni Paoline, 1979).         [ Links ]
2 Corps Romains, Textes réunis par Philippe Moreau, Grenoble, Editions Jéróme Millon, 2002.
3 Non il digitus salutaris (Suet. ^4ug. 8).
4 Ph. Moreau, Positions du corps, gestes et hiérarchie sociale a Rome, in Corps Romains, cit., pp. 179 ss.
5 Th. Mommsen, Romisches Staatsrecht, I, Graz, Akad. Druck-u. Verlagsanstalt, 19 5 23 (rist. ed. Leipzig, Hirzel, 1887), pp. 397 s. Parimenti scarsa ê l'attenzione dedicate ai saluti in W. Kroll, Die Kultur der ciceronischen Zeit, II, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1963 (rist. Leipzig, Dieterich'sche Verlagsbuch, 1933).
6 Sulla difficoltá di definire questo gruppo sociale, tra privilegi di ceto, matrimonio e maternitá e segni identitari, cfr. infra.
7 Certamente, come vedremo, le matrone non avevano l'obbligo di cedere il passo ai magistrati. A piú forte ragione le vestali (Th. Mommsen, Romisches Staatsrecht, I, cit., p. 398 nt.1).
8 Su dignitates, honores, ornamenta, titolature ecc., una letteratura di massima non puó iniziare che da Th. Mommsen, Romisches Staatsrecht, I, cit., pp. 372 ss.; St. Borszák, sv. Ornamenta, in "RE", XVIII, 1, (1939), coll. 1110 ss.; R. Rilinger, Ordo und dignitas als sozialeKategorien der romischen Republik, ora in Ordo und dignitas, Herausgegeben von T. Schmitt und A. Winterking, Stuttgart, Franz Steiner Verlag, 2007, pp. 95 ss. F. Kolb, Zur Statussymbolik im antike Rom, in "Chiron", VII (1977), pp. 239 ss.
9 Serv. Aen. 11,500 (Thilo, II, 1884): DESILUIT hoc ad Turni honorem refertur quattuor namque erant apudRomanos quae ad honorificentiam pertinebant, equo desilire, caput aperire, via decedere, adsurgere. hoc etiam praecones praeeuntes magistratus clamare dicebantur ... . Il passo come riflesso di una sistematica dei gesti di onorificenza giá compiutasi nella prima etá classica. "Un texte théorique sur les formes de salutation constituant des marques de respect", "une liste qu'il présente comme exhaustive": Ph. Moreau, Positions du corps, gestes et hiérarchie sociale a Rome, cit., pp. 182 s.
10 Sen. epist. 64,10: Si consulem videro aut praetorem, omnia quibus honor haberi honori solet faciam equo desiliam, caput adaperiam, semita cedam. Quid ergo? Marcum Catonem utrumque et Laelium Sapientem et Socraten cum Platone et Zenonem Cleanthenque in animum meum sine dignatione summa recipiam? Ego vero illos veneror et tantis nominibus semper assurgo.
11 I testi di Servio e di Seneca, di cui parleremo, "laissent supposer une source commune, remontant á une sorte de 'liste canonique' des marques d' honorificentia", forse redatta nel milieu degli ausiliari dei magistrati: Ph. Moreau, Positions du corps, gestes et hiérarchie sociale a Rome, cit., p. 184. Ma altri testi mettono in relazione talune di queste quattro condotte con i magistrati; ad esempio: Plin. epist. 1,23,1; Suet. Tib. 31,5; Claud. 6,2; Plin. nat. 28,60; die vir. ill. 72.
12 Cic. Cato, 63: Haec enim ipsa sunt honorabilia quae videntur levia atque communia, salutari, adpeti, decedi, adsurgi, deduci, reduci, consuli; quae et apud nos et in aliis civitatibus, ut quaeque optime morata est, ita diligentissime observantur.
13 W. Kroll, Die Kultur der ciceronischen Zeit, II, cit., p. 185, segnala anche il latus tegere, il lasciare il lato destro quando si cammina affiancati.
14 Significativo é l'anedotto di Silla dittatore che si scopre il capo, si alza di sella e scende da cavallo per gratitudine nei confronti di Pompeo, ancora cittadino quasi comune (Val. Max. 5,2,9). Secondo Plut. Crass. 6, Silla, avvicinandosi a Pompeo, si alzava, si scopriva il capo e lo salutava come imperator; in Pomp. 8, quando Pompeo si avvicinava, Silla era solito alzarsi e toglier il lembo della toga dal capo. E Silla é dittatore quando manifesta queste gentilezze a Pompeo (cosí Th. Mommsen, Romisches Staatsrecht, I, cit., p. 398 nt. 1, che valorizza Sall. hist. 5,20.
15 Ed il senso dell'obbligatorietá aveva profonde e lontane radice nei mores. A tacer d'altro, il solet di Sen. epist. 64,10.
16 W. Kroll, Die Kultur der ciceronischen Zeit, II, cit., pp. 190 ss.
17 Non proconsole come, secondo Gellio 2,2,13, si leggeva in Claudio Quadrigario (Hist. Roman. Rel. 57 Peter). Per tutti T.R.S. Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, vol. 1, Cleveland, The Press of Case Western Reserve University, 1951 (rist. 1968), p. 265.
18 Gell. 2,2,13, che cita, come detto, Claud. Quadrigario; Liv. 24,44,10; con leggere varianti e semplificazioni, Val. Max. 2,2,4; Plut. Fab. 24; apophth. Fab. 7.
19 De vir. ill. 72.
20 Th. Mommsen, Romisches Staatsrecht, I, cit., p. 377.
21 Th. Mommsen, Romisches Staatsrecht, I, cit., p. 398. Se hanno l'obbligo dei gesti di onorificenza verso i magistrati maggiori, al tempo stesso, seppure magistrati minori hanno il diritto alle onorificenze (Th. Mommsen, Romisches Staatsrecht, I, cit., p. 31 nt. 4).
22 Th. Mommsen, Romisches Staatsrecht, I, cit., p. 386 nt. 4, sulla base di Suet. Ner. 4.
23 Th. Mommsen, Romisches Staatsrecht, I, cit., p. 398 nt. 2.
24 Th. Mommsen, Romisches Staatsrecht, I, cit., pp. 396 s.
25 Cfr. infra.
26 Per tutti, J. Gagé, Matronalia. Essai sur les devotions et les organisations cultuelles des femmes dans l'ancienne Rome, Bruxelles, Latomus, 1963.         [ Links ] L'esatta identificazione delle matronae dell'epoca piú antica si perde tra le sterili etimologie classiche [(matrona da matrimonium, da mater (ma di un solo figlio), matrona in contrapposizione a virgo ecc. ), per cui v. Gell. 18,6,4-8; Serv. Aen. 9,215; 11,476)] e segni identitari (vesti, acconciature, gioielli). Qualche osservazione sulla etimología in R. Fiori, "Materfamilias", in "BIDR" 96-97 (1993-1994), p. 455. In generale, sul concetto di ordo si veda B. Cohen, La notion d' ordo dans la Rome antique, in "Bulletin de l'association de G. Budé", IV (1975), pp. 259 ss.         [ Links ]; e sui simboli di stato, F. Kolb, Zur Statussymbolik im antike Rom, cit., pp. 239 ss. Quale gruppo sociale politicamente influente, in sintesi estrema, P. Bonfante, Corso di diritto romano, I, Diritto di famiglia, Milano, Giuffré, 19632, pp. 54 s.         [ Links ] Spunti in N. Boëls-Janssen, Le statut matronal, enjeu du conflit entre la plebe et le patriciat?, in "REL", LXXXVIII (2010), pp. 106 ss.
27 Qualche informazione su alcune risalenti azioni movimentistiche femminili in L. Peppe, Posizione giuridica e ruolo sociale della donna romana in eta repubblicana, Milano, Giuffré, 1984, pp. 80 s.         [ Links ]; F. Goria, Il dibattito sull'abrogazione della lex Oppia e la condizione giuridica della donna romana, in Atti del convegno nazionale di studi su La donna nel mondo antico, a cura di R. Uglione, Torino, Regione Piemonte, 1987, p. 266 nt.         [ Links ] 7. Ampiamente sull'ambasciata a Coriolano e la struttura delle primitive manifestazioni matronali, J. Gagé, Matronalia, cit., pp. 111 ss. Ibidem, pp. 180 ss, sulla mobilitazione per l'oro gallico.
28 J. Gagé, Matronalia, cit., pp. 154 ss.
29 Verg. Aen. 8,639, trad. di L. CANALI.
30 Liv. 1,13,1.
31 J. Gagé, Matronalia, cit., p. 155. Cic. rep. 2,13: matronis ipsis quae raptae erant orantibus.
32 Cic. rep. 2,14.
33 Tra cui le trenta curie chiamate con i nomi delle coraggiose donne come afferma Liv. 1,13 e Plut. Rom. 20,2.
34 Plut. Rom. 19,7, giá in 15,4.
35 Plut. Rom. 20,3.
36 Plut. Rom. 20,3: ή δίκην φεύγειν παρά τοις έπι' των φονικών καθεστώσι. Non c'é ragione di limitare la sanzione al solo caso di esibizionismo.
37 Plut. Quaest. Rom. 278 B. Cfr. il commento di J. Boulogne, ed. Les Belles Lettres, p. 359.
38 Ov. fast. 1,619-626: nam prius Ausonias matres carpenta vehebant/ (haec quoque ab Euandri dicta parente reor);/ mox honor eripitur, matronaque destinat omnis/ ingratos nulla prole novare viros,/ neve daretpartus, ictu temeraria caeco/visceribus crescens excutiebat onus./corripuissepatres ausas immitia nuptas,/ ius tamen exemptum restituisse ferunt.
39 Secondo J. Gagé, Matronalia, cit., pp. 157 s. non sarebbe altro che αίτιον della seconda festa dei Carmentalia. o del santuario di Carmenta (Plut. Quaest. Rom. 278 B).
40 Liv. 5,25,9: Pecunia ex aerario prompta, et tribunis militum consularibus ut aurum ex ea coemerent negotium datum. Cuius cum copia non esset, matronae coetibus ad eam rem consultandam habitis communi decreto pollicitae tribunis militum aurum et omnia ornamenta sua, in aerarium detulerunt. Grata ea res ut quae maxime senatui unquam fuit; honoremque ob eam munificentiam ferunt matronis habitum ut pilento ad sacra ludosque, carpentis festo profestoque uterentur. La tradizione liviana trova conferma in Fest. sv. Pilentis (282 L.): Pilentis et carpentis per urbem vehi matronis concessum est, quod, cum aurum non reperiretur, ex voto quod Camillus voverat Apollini Delphico, contulerunt. V. anche Paul.-Fest. sv. Matroni<s> aurum redditum (138 L.).
41 Questo sembra ricavarsi da Macr. sat. 1,6,15. Solo la castae matronae lo potevano usare ed aveva colori distintivi: Isid. orig. 20,12,4.5.
42 Verg. Aen. 8,666. V. Serv. Aen. 8,666 e Georg. 2,349.
43 Isid. orig. 20,12,3.
44 Liv. 5,25,9; 34,1,4.
45 Liv. 34,1-8.
46 Forse l'ultimo atto va cercato nei "ridicoli senatoconsulti" sulle matrone, emanati per influenza della madre di Eliogabalo, su cui Lamp. Heliog. 4,4.
47 Fest. Matronae (142 L.): Matronae a magistratibus non summovebantur, ne pulsari contractarivi videntur, neve gravidae concuterentur. Ob quam etiam causam ait Verrius neque earum viros sedentes cum uxoribus de essedo escendere coactos a magistratibus, quod communi vehiculo vehitur vir et uxor.
48 Th. Mommsen, Romisches Staatsrecht, I, cit., p. 397 nt. 1. Depone per questa lettura il posizionamento della nota (ove il grande studioso afferma che "Frauen sind auch hier ausgenommen"), sul tema dei gesti onorifici per i magistrati.
49 Val. Max. 2,1,5: Sed quo matronale decus uerecundiae munimento tutius esset, in ius uocanti matronam corpus eius adtingere non permiserunt, ut inuiolata manus alienae tactu stola relinqueretur. Cfr. C. Cascione,Matrone " vocatae in ius' tra antico e tardo antico", in Donnefamiglia epotere in Grecia e a Roma. Studi per E. Cantarella, in "Index", XL (2012), pp. 238 ss.
50 Plut. Num. 10,3.
51 Th. Mommsen, Romisches Staatsrecht, I, cit., p. 391 con note.
52 Paul.-Fest. sv. Matronas (112 L.).
53 Val. Max. 5,2,1 (secondo l'ed. di C. Kempf, Btl): in quarum honorem senatus matronarum ordinem benignissimis decretis adornauit sanxit namque ut feminis semita uiri cederent, confessus plus salutis rei publicae in stola quam in armis fuisse, uetustisque aurium insignibus nouum uittae discrimen adiecit. permisit quoque his purpurea ueste et aureis uti segmentis.
54 A Greek-English Lexicon compiled by H.G. Liddell and R. Scott (...), Oxford, At the Clarendon Press, rist. 19 839, sv. έξίστηµι, B,1. "make way for".
55 Th. l.l. sv. cedo, II A "locum dare", 1, col. 721 lin. 40.
56 Cfr. A. Ernout, Plaute, Trinummus, Les Belles Lettres, Paris 19612, tom VII, vv. 480-482. Su questa distinzione l'a. con espressioni sinonime έξίστασθαι µεν όδοϋ βαδιζούσαις, e feminis semita cederent) richiama (p. 44 nt. 1) anche Plaut. Curc. 284 s.
57 Plaut. Trinum. 480 s.: decedam ego illi de via, de semita,/ de honore populi .; Plaut. Anph. 984 s.: Concedite atque abscedite omnes, de via decedite,/ nec quisquam tam audax fuat homo, qui obviam obsistat mihi.; 990: quam ob rem mihi magis par est via decedere et concedere; Liv. 40,58,1: ne decederent viam; Cic. rep. 1,67: de via decedendum sit; Sen. Rhet. 1,2,3 recta via decedere; Sen. epist. 64,10: semita cedam con riferimento al magistrato; Quint. inst. or. 4,5,5: via dicendi non decedere; Suet. Tib. 31,2: assurgere et decedere via; Suet. Nero, 4,1: immitis censorem M. Plancum via sibi decedere aedilis coegit; Serv. Aen. 11,500: equo desilire caput aperire, via decedere, adsurgere.
58 Si legga quanto scrive in proposito Ph. Moreau, Positions du corps, gestes et hiérarchie sociale a Rome, in Corps Romains, cit., p. 197: "... via decedere, comme dit Servius, ou loco cedere, come disent d'autres auteurs, ne met en jeu que la position relative des corps dans l'espace, dans un plan horizontal. La conduite est difficile á analyser, mais il me semble que deux prépositions-préverbes, ob et praeter, permettent de la saisir: la conduite respectueuse consiste á ne se trouver jamais ob, sur le passage du magistrat (on sait que ob a une valeur spatiale, mais aussi une valeur latente d'empechement), et á lui permettre de praeterire (lá aussi, praeter a une signification spatiale, mais marque également l'absence de prise en considération)".
59 Una citazione dell'editto del pretore sull'appellatio e la comitis abductio si vuole contenuta in D. 47,10,15,15 (Ulpianus [77] <57> ad ed.): Si quis virgines appellasset, si tamen ancillari veste vestitas, minus peccare videtur multo minus, si meretricia veste feminae, non matrum familiarum vestitae fuissent. si igitur [non] matronali habitu femina fuerit et quis eam appellavit vel ei comitem abduxit, iniuriarum tenetur. Si aggiunga che Ulpiano in precedenza aveva indicato, come esempio di un'iniuria fatta alla dignitá, cum comes matronae abducitur (D. 47,10,1,2 Ulpianus 56 ad ed.). Su questo testo assai disputato ci limitiamo alla doverosa citazione di A. Guarino, Le matrone e i pappagalli, da Inezie di giureconsulti, Napoli, Jovene, 1978, pp. 165 ss.
60 D. 47.10.15.16 (Ulpianus [77] <57> ad ed.). Il passo commenta la clausola edittale riferita nel paragrafo precedente.
61 Iniuria ad dignitatem (D. 47,10,1,2 Ulpianus 56 ad ed.).
62 Forcellini, Lexicon, I, p. 349.
63 Letteratura al minimo: H.-G. Pflaum, Titulature et rang social sous le Haut-Empire, in Recherches sur les structures sociales dans l'Antiquité classique, Caen 25-26 aprile 1969, Paris, Centre National de la recherche scientifique, 1970, pp. 159 ss.; G. Alfoldi, Romische Sozialgeschiche, Wiesbaden, Steiner, 19843; H. Lohken, Ordines Dignitatum. Untersuchungen zur formalen Konstituierung der spatantiken Führungsschicht, Kóln, Wien, Bóhlau Verlag, 1982; nello specifico dello statuto dei senatori e delle loro famiglie, A. Chastagnol, Le senat romain a l'époque imperiale, Paris, Les Belles Lettres, 1992, pp. 169 ss. Dello stesso a., Les femmes dans l'ordre sénatorial. Titulature et rang social, in "RH", CIII nt. 262 (1979), pp. 3 ss.; M. Th. Raepsaet-Charlier, Clarissima femina, in "RIDA", XXVIII (1981), pp. 189 ss.
64 D. 1,9,1 pr. ulpianus 62 ad ed. Sul passo si soffermano appena, in questa prospettiva di "precedenze dignitarie", M. Th. Raepsaet-Charlier, Clarissima femina, cit., p. 197 nt. 46; A. Chastagnol, Le senat romain a l'époque imperiale, cit., p. 184; P. Giunti, Il ruolo sociale della donna romana in eta imperiale, tra discriminazione e riconoscimento, in Donne famiglia e potere in Grecia e a Roma. Studi per E. Cantarella, cit., p. 141. Per la piú acuta, ma ormai negletta, lettura del testo si veda Marii Salomonii Albertischi Iureconsulti (...) in librumPandectarum Iur. Ci. commentariolii (...), Basilea, Andreas Catander, MDXXX (dalla pref.), 44. Questo a. dimostra anzitutto infondata la tesi di Bartolo secondo cui la quaestio ulpianea sarebbe tra marito di rango prefettorio e moglie di rango consolare: la moglie acquista sempre la dignitá del marito, anche se meno elevata di quella della sua di origine. Inoltre, secondo Ulpiano, nel rapporto tra gradi onorifici maschili e femminili prevarrebbe sempre quello maschile anche se inferiore a quello femminile. La celebre frase "quia maior est in sexu virili dignitas" (scilicet praefectoria) questo significherebbe, limitando il privilegium sexus alle sole dignitá istituzionali.
65 E. Koch, Maior dignitas est in sexu virili. Das weibliche Geschlecht im Normensystem des 16. Jahrhunderts, Frankfurt am Main, V. Klostermann, 1991.
66 Cosi Marii Salomonii Albertischi Iureconsulti (...) in librum Pandectarum Iur. Ci. commentariolii (...), cit., 44: "ulpianus ait: Et puto praeferri, quia maior dignitas est in sexu virili (...). Et propterea accipienda haec verba arbitror, quia maior est in sexu virili dignitas scilicet praefectoria quam in mulieri consularis. & hic sine lite sensus est".
67 D. 1,9,1,1.
68 Baldi Ubaldi Perusini (...)Primum, Secundum, Tertium Cod. Lib. Commentaria (...), Venetiis, L.A., MDLXXVII, fl. 12, par. 13. Ma si legga quanto Cuiacio scrive a difesa di questa affermazione di Saturnino in In Tit. XIVDe Iure Fisci Lib. XLIXDigest., ad. L. XVIII, in Opera, VI, Prati 1838, col. 1508; ed anche A. Chastagnol, Le senat romain a l'époque imperiale, cit., p. 184.
69 Utile é il raffronto con C. 12,8 Ut dignitatum ordo servetur, ed in particolare con C. 12,8,2,2 ed espressioni come primo loco haberi, non quaestorius praefectorio praeponatur e simili.
70 A dispetto del fatto che i consolari precedono i prefettorii (C. 12,3; C. 12,4) quia nihil est altius dignitate (C. 12,3,1,2).
71 B. 6,1,1=D. 1,9,1.
72 A margine di D. 1,9,1, Viviano, nella Gloss. Consulari, ricorda che in D. 22.4.6 l'uomo é preferito alla donna de tabulis testamenti deponendis; Accursio figlio, nella Gloss. Praeferendum, menziona Gaio D. 42,5,16 e le preferenze per l'aggiudicazione dei beni del debitore.
73 Tit. XXXIX. § 217 (O. Lenel, EP3, p. 426).
74 Per tutti, P. Orso, Sul problema di un residuo attivo nella bonorum venditio, in "SDHI" 60 (1994), p. 265.
75 O. Lenel, Palingenesia iuris civilis, Volumen alterum, Leipzig 1889, coll. 789 ss. Che Ulpiano in altri luoghi della sua opera abbia prestato attenzione all' ordo senatorius ed in particolare alle feminae clarissimae e relativa dignitas, si vede da uno sguardo complessivo a D. 1,9 in particolare a D. 1,9,8 (Ulpianus libro sextofideicommissorum).
76 Cosi anche, quelche secolo prima di noi, Marii Salomonii Albertischi Iureconsulti (...) in librum Pandectarum Iur. Ci. commentariolii (...), cit., 44.

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