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Fundamina

On-line version ISSN 2411-7870
Print version ISSN 1021-545X

Fundamina (Pretoria) vol.20 n.1 Pretoria Jan. 2014

 

Da sì piccoli inizi ...

 

 

L. Capogrossi Colognesi

Professore emerito di diritto romano, Sapienza Universitá di Roma; Academico dei Lincei

 

 


ABSTRACT

A century ago, in Roman law studies, it was a rather common idea that, in ancient cities, legal protection was not immediately extended to the legal relationships between citizens and foreigners. This protection was possible only as a consequence of a special position, granted to foreigners, through the hospitium - private or publicum - or an international obligation assumed by the city as a consequence of a treatise between two sovereign cities. This was the case of the relationship between Romans and Carthaginians established by the first treatise between Rome and Carthage in 509 BC. A different position was that of the Latini in Rome (and of the Romans in the Latin cities): to which the same Roman law as for Roman citizens applied. This kind of assimilation was known as ius commercii and conubii. Following an idea of Dieter Nörr, the author suggests that a more general legal protection should have been granted by Romans to all foreign tradesmen. For that reason there were, in the XII Tables, general provisions concerning the position of foreign citizens in process, as well in private agreements. It is also possible that the typical forms of ius civile, such as mancipatio, should have been employed in these transactions, although they could not have the same consequences for what concerns the Roman ius civile.


 

 

1. Il saggio e goffo imperatore Claudio sapeva bene quel che faceva e diceva, quando si rivolse al Senato per rispondere alle obiezioni ed ai malumori sollevati dal suo intento di inserire in tale consesso alcuni individui d'origine provinciale. "Un tempo - egli ricordè - i re ebbero il governo di questa citta ... a Romolo successe Numa, proveniente dai Sabini, vicino senza dubbio, ma a quel tempo straniero. E allo stesso modo ad Anco Marcio successe Tarquinio Prisco [che] ... escluso in patria dalle cariche pubbliche, dopo essere emigrato a Roma ottenne il regno"1. Nell'evocare questa storia d'apertura e d'integrazione, presente sin dalle origini di Roma, Claudio si rifaceva anzitutto alle stesse antichissime origini dei suoi "maiores", allorché il capostipite della sua gens, Atto Clauso, sabino d'origine, era stato "contemporaneamente accolto nella cittadinanza romana e nel patriziato". Nello stesso modo in cui "da Alba si fecero venire i Giulii, da Camerio i Coruncanii, da Tuscolo i Porci, e - senza andar tanto indietro - da tutta Italia sono stati arruolati dei senatori, e da ultimo l'Italia stessa è stata ampliata sino alle Alpi"2.

Queste antiche tradizioni erano la memoria condivisa della citta e costituivano un fattore non secondario della sua stessa identitá politica. Richiamandosi alla forza di questa stessa tradizione, Claudio poté trasformare la piccola diatriba col Senato in un grande manifesto politico, carico di una fortissima consapevolezza ideologica. Ne fa fede il fatto che la sua orazione fu diffusa nelle varie parti dell'Impero, rivolta anzitutto a quelle élites ormai romanizzate su cui si fondava tanta parte dell'edificio imperiale e che ben presto avrebbero raggiunto, con Traiano, i vertici del governo imperiale.

In effetti è costante, nel riferimento dei Romani alle proprie origini, una loro connotazione, diciamo cosi, "promiscua". Dalla nascita bastarda del fondatore, appena velata dal ricorso al necessario deus ex machina, alla fisionomia raccogliticcia dei compagni di Romolo, sino, infine, ad al ratto delle Sabine. La citta nasce come coagulo di genti e gruppi diversi ed eterogenei: prodotto di fusioni e confusioni di quei molti populi, non ancora divenuti entitá politiche autonome, non cittá e neppure oppida, ricordati da Plinio, destinati a "scomparire senza lasciar traccia", nel Lazio dominato dalle nuove e formidabili invenzioni sociali: le "citta"3.

Da sempre punto d'incontro e di comunicazione, il successo di Roma è strettamente legato al suo controllo dei passaggi, da nord a sud, dal mare verso l'interno, a dominare uno dei pochi punti guadabili del Tevere. Il suo carattere di punto di controllo dei collegamenti e delle comunicazioni di piu ampio respiro, e, per ciè stesso, d'incontro tra storie diverse ed eterogenee, ben s'associa alla singolare capacitá d'assorbimento di elementi estranei all'interno del proprio corpo cittadino che accompagna Roma per tutta la sua storia, segnandone in profonditá la fisionomia politica e le fortune. Una capacita d'integrazione che, si noti, non parrebbe riguardare solo la circolazione degli individui o di singole famiglie, ma d'intere comunitá politiche: ciè che dovette essere il fattore forse piu importante per la sua rapida affermazione nell'area del Latium vetus, sopravanzando le altre comunitá in via d'evoluzione verso le forme cittadine.

Nel corso dei primi secoli, Roma sembra concludere in modo abbastanza singolare molti dei suoi scontri vittoriosi con le altre cittá (o altri insediamenti la cui struttura cittadina era ancora in via di consolidamento, come nel caso di Alba Longa). Le comunitá conquistate infatti venivano da essa assorbite: l'esito del conflitto della Roma di Romolo con la comunitá sabina del Quirinale, risoltosi nella loro fusione, è destinato a ripetersi, trasformando le guerre da lei sostenute in una forma accelerata di successivi e forzati sinecismi, con cui si dissolsero gli insediamenti sottomessi nella cittá vincitrice. Forse il piu noto, anche se non unico, è il caso di Alba Longa, il piu o meno leggendario centro federale delle comunitá latine, integralmente dissolto, dopo la vittoria conseguita dal suo re Tullo Ostilio. La sua popolazione venne trasferita a Roma, pienamente incorporata nella cittadinanza romana, mentre i suoi maggiorenti furono immediatamente integrati nell'aristocrazia gentilizia romana4. Cosi, con le parole di Livio, Roma ... craescitAlbae ruinis5. Alla brutalita della distruzione della cittá vinta fa quasi da contrasto la facilitá dell'incorporazione della nuova comunitá, sino ad arruolarne i vertici nelle fila del patriziato romano.

Non si tratta di una vicenda eccezionale: gli antichi infatti ricordano i nomi di molte altre comunitá conquistate e assorbite dai Romani nel corso dell'etá monarchica: Politorium, Ficana e Medullia e Tellena6 ed ma anche Bovillae, Castrimonium e Caba7, e forse Cameria.8 Particolarmente illuminato dalle fonti, anche se in forma abbastanza contraddittoria, il caso di Crustumerium, Caenina, ed Antemnae, comunitá sabine che emergono nel contesto leggendario del ratto delle Sabine giá richiamato in precedenza9, unite talora anche al nome ancor piu importante di Fidene10 e, infine, Gabi11: l'ultima ad essere investita dall'espansionismo romano, non a caso la piu lontana. E' proprio questo elenco a saldare le leggende delle origini ad una realtá giá entrata nella storia: dove localitá concrete e tracce di insediamenti arcaici paiono confermare quei fenomeni di sinecismi e di trasformazioni di strutture insediative arcaiche in forme nuove.

Il significato che io attribuisco a tali processi è, tuttavia, ben diverso da quello che vi aveva colto a suo tempo Sherwin-White, nella sua fondamentale opera sulla Roman Citizenship, apparsa prima della seconda guerra mondiale. Per lui infatti tali incorporazioni segnavano "a new era in the history of Rome", segnando il superamento dei "days of simple destruction and aggrandizement at the expense of the populi Latini". In ciè egli era ispirato dalla convinzione che solo nel momento in cui "the villages, or groups of them, have grown up politically self-conscious township", la nuova unitá cittadina fosse in grado di assorbire e incorporare altre cittadinanze12.

La struttura delle narrazioni antiche e i loro riferimenti cronologici non confermano perè questa visione evolutiva, giacché i casi di assorbimento delle popolazioni vinte all'interno della civitas Romana non appaiono successivi a forme piu "arcaiche" - o semplicemente piu tradizionali - di conquista e sottomissione dei vinti (dalla deditio della civitas, alla conquista ed al saccheggio della cittá vinta, sino, nei casi estremi, alla distruzione della cittá ed all'uccisione dei suoi abitanti od alla loro riduzione in schiavitu). Per questo, all'opposto di Sherwin-White, questi sinecismi forzati, piu che esprimere una novita istituzionale, sembrano protrarre nel tempo quelle forme di fluiditá che giá avevano permesso la formazione dei primi embrioni di poleis, nel Lazio e che si svolgevano in un bacino culturalmente omogeneo, per lingua, culti e pratiche sociali13.

2. Con la "catastrofe evolutiva" costituita dal consolidamento dell'ordinamento cittadino - processo che possiamo considerare ormai concluso nel VI sec.a.C., con i re etruschi - parrebbe chiudersi anche questa fase, diciamo cosi, di "permeabilitá" degli ordinamenti in via di formazione. E' allora infatti che divenne piu netta e definitiva la separazione tra "chi è dentro" e "chi è fuori", tra il cittadino e lo straniero. Anche se oggi sono assai meno diffuse le idee, un tempo dominanti, circa l'esclusivismo della cittá antica, frutto di una "naturale" ostilitá di partenza tra le varie comunitá, si parla tuttora di un'almeno tendenziale impossibilitá che le norme proprie della cittá (in particolare il ius civile di Roma) s'applicassero automaticamente allo "straniero"14. Una impossibilitá peraltro temperata da meccanismi di volta in volta approntati dai vari ordinamenti, giacché nulla fa pensare che le forme di circolazione di uomini e di beni, attestate dalla preistoria, si siano interrotte perché il nuovo ordinamento cittadino concerneva solo i suoi membri.

E, in effetti, uno schema operativo legato alle antichissime radici di una koinè mediterranea, ricca di scambi e di incontri tra individui e comunitá, è individuabile nell'hospitium: l'equivalente della proxenia greca15, dove antichi ruoli ed alleanze gentilizie si saldano all'intervento della comunitá politica. Esso dovette aver origine nell'ambito di rapporti tra privati che si sostanziavano in un vincolo di ospitalitá che assicurava ad un individuo o ad un gruppo sociale un "diritto" - se possiamo usare questa parola cosi pesante semanticamente - ad essere accolti e protetti da un individuo o da un gruppo di un'altra comunitá. Non possiamo dimenticare che queste forme di circolazione gentilizia costituiscono la trama stessa di quel gran racconto di popoli viaggiatori che è l'Odissea16.

La storia dell' hospitium tuttavia, si protrae molto in avanti, allacciandosi, soprattutto nella vicenda romana, alla pervasiva forma della clientela e del patronato quali strumento di governo non solo all'interno della comunitá, ma anche in funzione di egemonie politiche e territoriali17. Accanto al segno materiale a simbolizzare il vincolo esistente, ampiamente attestato tanto nelle fonti letterarie che nella documentazione archeologica18, incontriamo traccia anche di quel dovere d'assistere lo straniero anche nei tribunali della propria cittá: ma in modo sporadico.

La tutela legale degli stranieri divenne piu netta con il diretto intervento della cittá: quando cioè all' hospitium privato si sostitui l' hospitium pubblico, fornito dalla cittá. E' allora (soprattutto nel caso romano che è quello che direttamente a noi interessa) che l'ospitalitá pubblica s'intreccia a forme di trattati tra cittá. E' infatti con essi che si sanciva, insieme all' "amicizia" tra i due contraenti, anche un preciso impegno a fornire ai cittadini dell'altra l'ospitalitá pubblica con precise conseguenze legali.

Certo, questo era solo un aspetto dei trattati internazionali, caratterizzati in genere da un accentuato contenuto politico, che Roma ebbe a stipulare con i suoi vicini giá durante il periodo monarchico, avvaendosi dei suoi feziali19. Essi costituirono il fondamentale meccanismo per la costruzione di un tessuto entro cui la cittá stessa poteva sviluppare la sua azione politica. La tutela legale per i cittadini della controparte, in qualche modo, ne era la semplice conseguenza.

Con il trattato con i Latini, stipulato nel 496 a.C., indicato dal nome del console romano come il Foedus Cassianum20, e quello con Cartagine, nel 509 a.C., si esce infine dalla confusa aura leggendaria delle origini, per entrare in una dimensione piu propriamente storica. La vicinanza di date evidenzia il doppio registro perseguito da Roma, nel perseguire, insieme alla politica di consolidamento regionale assicurato dal trattato con i Latini, una prospettiva mediterranea di ben diversa portata, almeno geografica, come quella associata al trattato da essa stipulato, nel primo anno della repubblica, con Cartagine.

Il Foedus Cassianum rifondava e consacrava un'alleanza permanente tra le varie cittá latine: la Lega Latina. In seguito esse saranno indicate come le cittá del Latium vetus ed i loro abitanti indicati come iprisci Latini, a distinguerli dai Latini di piu recente e diversa origine. Posti in una condizione legale affatto superiore agli altri stranieri essi furono assimilati sulla base del ius commercii e conubii loro riconosciuto - per una vasta sfera dei rapporti giuridici privati - ai cittadini romani21. Sulla base comunque di un principio di reciprocitá che permise ai Romani di fruire dei diritti locali nelle altre cittá del Lazio.

Di questo, come del trattato con Cartagine mi sono interessato a piu riprese, presumendo di potervi cogliere l'emergenza delle due logiche in seguito sviluppate piu ampiamente dai Romani: lo schema assimilativo del ius commercii e conubii, da un lato, del ius gentium, dall'altro22. Resta perè incerto se la particolare condizione di diritto privato riconosciuta ai Latini in Roma sia da attribuirsi a questo Foedus, giacché da parte di molti autori si ritiene che, con questo, essa fosse solo rinnovata. In questo caso la comunanza giuridica tra le comunitá del Latium vetus si confonderebbe con l'unitá etnico-culturale delle origini e ci riporterebbe a quel tipo di facili circolazioni di cui s'è giá parlato. D'altra parte, l'unica norma privatistica espressamente attribuita al testo del Trattato da Dionigi, introducendo una specifica regola processuale a disciplinare il rapporto tra Romani e Latini23, in qualche modo contraddirebbe alla logica meramente assimilativa del ius commercii.

Quanto al testo del trattato con Cartagine, assai piu ampiamente e scrupolosamente riportato da Polibio24, è ben possibile che il suo contenuto sia il frutto di una "pluralitá di modelli" ricavati appunto dalla complessitá delle relazioni mercantili giá da tempo presenti nel Mediterraneo25. Cosi come per la miriade di piccoli ordinamenti cittadini, piu o meno circoscritti ai membri della propria comunitá, dovette porsi il problema di forme comuni atte a dare sicurezza e stabilitá ai traffici mercantili che hanno caratterizzato l'intero Mediterraneo ben prima del nostro Trattato.

Il problema si pone esplicitamente per Roma il cui ius civile e il relativo processo per legis actiones, è interpretato da tutti gli studiosi moderni come esclusivamente vigente per i suoi cittadini, essendone pertanto esclusi i commercianti punici. Che tuttavia dovevano certo esser protetti nei loro rapporti commerciali con i Latini e i Romani, stando alla struttura di reciprocitá del Trattato, probabilmente in una forma non troppo diversa da quella prevista nei casi di hospitium pubblico26. E, del resto, quando un secolo dopo il trattato romano-cartaginese fu rinnovato, era esplicitamente previsto un impegno a fornire tutela ai cittadini della controparte in modo non diverso dai propri. Nel testo di Polibio leggiamo come: "in quelle parti della Sicilia soggette ai Cartaginesi e nella cittá di Cartagine [il Romano] potrá fare e vendere tutto quello che è permesso a un cittadino cartaginese" e che "altrettanto potrá fare un Cartaginese a Roma"27. Anche se nulla ci permette d'immaginare che ciè avvenisse in base alla titolaritá del ius commercii con i Romani.

3. Restando al testo del primo trattato, oggetto, com'è noto di una plurisecolare ed esasperata attenzione degli storici, mi sembra si debba partire dal dato, ribadito di recente da Nörr, che "le clausole commerciali del trattato si riferiscono alla sfera cartaginese ed alle regole commerciali che vi valgono"28. Il che circoscrive inevitabilmente gli esiti suggestivi e spesso affatto persuasivi della successiva raffinatissima esegesi del testo polibiano da parte di tale autore all' emporion o agli emporia in ambito cartaginese29 ed alla valenza, in ambito punico, della clausola piu significativa in esso contenuta, relativa a quella demosiapistis, su cui s'è riversata un'intera letteratura. Si tratta tuttavia d'indicazioni che ci possono aiutare anche a rileggere il silenzio relativo ai Cartaginesi in Roma e nel Lazio30. Un silenzio non superabile con ipotesi avventate, ma che non giustificherebbe la mera elusione del problema: non sappiamo in che modo, ma i commercianti punici dovevano esser tutelati a Roma e nella parte del Lazio da essa influenzata o dominata. Del resto non è da sottovalutare il fatto, fortemente sottolineato da alcuni storici, come tale trattato coincidesse con l'espulsione dei re etruschi da Roma e la conseguente possibile fuoriuscita di Roma dall'ambito d'influenza etrusca. Si è sempre immaginato che, con esso, i Cartaginesi si garantissero la persistenza di quei rapporti assicurati in precedenza dalla loro alleanza con le cittá etrusche, che doveva aver giá coinvolto la stessa Roma legata, con i Tarquini, a tale contesto.

Tornerè rapidamente allo schema della publica fides, richiamato nel testo greco di Polibio con demosia pistis: una garanzia pubblica prevista per il pagamento del prezzo ad un mercante romano o latino31. Sono state molte le intepretazioni avanzate in proposito, ad es. che lo schema, postulasse una vera e propria assunzione dell'obbligo del pagamento da parte di Cartagine. Io credo che, con tale espressione, si sancisse l'impegno di Cartagine a garantire la forza del negozio privato - di cui, si noti, si prescrivevano peculiari forme - e la sua tutela di fronte ai giudici, cosi come ritengo che analogo impegno vincolasse anche i Romani nei riguardi dei commercianti cartaginesi. Possiamo anche immaginare che particolari luoghi e forme negoziali fossero disponibili per realizzare tali negozi. Esso appare comunque connaturato a quella libertá commerciale tra Romani e Cartaginesi assicurata dal trattato, seguendo le logiche generali del piu vasto ed eterogeneo sistema di relazioni mediterranee cui ora facevo riferimento.

Ma questo, lungi dall'indurci in una sterile discussione sulle possibili forme applicate per ammettere i Cartaginesi al traffico giuridico con i Romani, convalida l'idea di Nörr, relativa alla possibile presenza di regole e pratiche diffuse in ambito mediterraneo: un ius mercatorum di cui poteva esser partecipe anche Roma32. Forse associato al semiautonomo ruolo degli emporia: un luogo peculiare rispetto agli spazi - e ai diritti - cittadini33. Mi chiedo infine cosa avrebbe potuto impedire al titolare del potere di amministrare la giustizia romana - un potere sovrano che, anche in seguito, avrebbe reso impossibile concepire il magistrato giusdicente come mero interprete della legge, ad essa vincolato - potesse estendere allo straniero la stessa protezione del Romano basandosi su una finzione, come in seguito vedremo tante volte applicata nel processo romano. "Come se", dunque, lo straniero fosse un cittadino romano, fruente quindi della sfera del ius civile: è un punto che avrá notevoli sviluppi in progresso di tempo e su cui ancora di recente si è riacceso l'interesse degli studiosi34.

D'altra parte noi conosciamo molto poco del modo in cui le forme della vita giuridica romana venivano svolgendosi ancora sino all'etá decemvirale. Sino a che punto, ad es., il ius civile era divenuto proprio ed esclusivo civium Romanorum, e cos'erano, che natura avevano invece quelle norme che poi sarebbero sopravvissute nelle XII Tavole con cui si disciplinava la particolare condizione dello straniero - allora ancora indicato come hostis35? Di recente Calore ha riesaminato la norma forse piu importante, relativa all' aeterna auctoritas dovuta allo straniero36, collegandola, come parrebbe ragionevole, a quella mancipatio cui essa appare strettamente associata37. In tal caso si tornerebbe ad un negozio che è al cuore stesso del ius civile, ma per un uso estraneo a questo stesso ius civile. E tuttavia nulla, si badi, come la mancipatio esprime l'essenza stessa delle forme dello scambio e dell'acquisto di beni.

4. Muovendomi su una linea fortemente congetturale - e d'altra parte per questa realtá piu antica è pressoché impossibile giungere a qualche certezza - percorrerè questa idea di una possibile mancipatio con non cittadini. Ricordando anzitutto che, quando il trattato tra Roma e Cartagine veniva stipulato, essa doveva aver giá perso l'originario valore di compravendita ad effetti reali, col trasferimento di un oggetto a fronte del versamento di una certa quantitá di bronzo pesato. E tuttavia, in quell'epoca, il negozio non doveva aver raggiunto la fissitá con cui, dopo tanti secoli d'uso consolidate, essa appariva ai Romani della tarda repubblica e del principato. Il carattere magmatico della sua utilizzazione è attestato dall'articolarsi delle sue applicazioni - sempre tra cittadini romani - nei campi piu disparati, per quell' "economia dei mezzi giuridici", propria del primo diritto romano, giá sottolineata da Jhering. Dall'emancipazione del figlio, alla creazione di un debitore semiasservito, sino al matrimonio cum manu, tutta una gamma di situazioni differenziate venne configurandosi attraverso applicazioni particolari - e modifiche formali - di tale schema negoziale.

Perché non immaginare che, nel corso di questa lunga sperimentazione, s'utilizzasse questa figura anche per assicurare, con una forma in grado di garantire sufficiente certezza e pubblicitá alla transazione, quella publica fides che avrebbe permesso s'obbligare cittadini e cartaginesi al rispetto degli accordi solennemente assunti? E' solo un'ipotesi, ben s'intende, che in tanto puè avere spazio in quanto s'abbia ben chiaro che il diritto romano delle origini è stata comunque una realtá qualitativamente affatto diversa da quella ipostatizzata dai romanisti.

Se poi ricordiamo l'accento posto da De Francisci ed Orestano, sul carattere eminentemente "fattuale" del diritto romano arcaico38: un diritto che diventa tale nel momento in cui viene affermato, diventa piu relativa la distanza tra "diritto" (tra i cittadini) e "fatto" (la situazione protetta degli stranieri). Una distinzione, ben chiara ai nostri occhi, ma certo meno netta in una fase ancora molto rudimentale della scienza giuridica pontificale. Per questo mi sembra da condividere totalmente l'invito di Nörr, a liberarci, nello studio del diritto romano arcaico, dai parametri interpretativi forgiati in etá assai piu tarde, frutto dell' "esistenza di una giurisprudenza con tutte le sue conseguenze", evitando di esaurire la nostra visuale "nelle norme, istituti, clausole contrattuali ecc., che sono oggetto delle fatiche dei giuristi romani"39.

Su tale problematica s'è misurata una tradizione di studi particolarmente agguerrita: eppure colpisce la zona d'ombra che, malgrado tutto, si conserva intorno ad essi. Quasi che la condizione degli stranieri in Roma, o non fosse gran cosa, sino alle grandi svolte imperialistiche del III sec.a.C. (quando appunto s'ammette in genere che col praetor peregrinus s'iniziè ad aversi una tutela efficace per gli stranieri privi di ius commercii40) o comunque fosse cosa affatto marginale, anche perché della data del primo trattato con Cartagine continué pervicacemente a dubitarsi41. Tuttavia i primi passi di quello che diverrá il vasto sistema del ius gentium e delle varie comunanze giuridiche in ambito municipale risalgono, appunto, a questa piu antica etá pressoché scomparsa dalla stessa memoria dei Romani e, quindi, dalla nostra.

 

 

1 CIL, XIII, 1668 (ILS, 212).
2 Tac., ann. 11. 24. 1-3, dove si riporta in modo ancor piu ampio che nell'epigrafe di Lione, la lettera di Claudio.
3 Plinio, nat. hist. 3. 68-70.
4 Liv. 1., 30. 2-3: Tullo Ostilio, infatti, "accolse tra i senatori, per incrementare anche questo elemento dello stato, i maggiorenti Albani: i Giulii, i Servili, i Quincti, i Gegani, i Curiazi, i Clelii; e, come spazio sacro (per le riunioni) di questo ordine da lui incrementato", facendo allora costruire la sede stessa del Senato: la Curia Ostilia.
5 Liv., 1. 30, 1. Sulle implicazioni sociali e istituzionali di questa vicenda si v. tuttora Hülsen, 1894, 1302, J. Beloch, Römische Geschichte bis zum Beginn der Punische Kriege, Berlin-Leipzig, 1926, 159, e Humbert, "Municipium" et "civitas sine suffragio". L organisation de la conquete jusqu
ά la guerre sociale, Paris-Rome, 1918, 16 s.
6 Humbert, Municipium (cit. nt. 5) 16 e nt. 89.
7 Beloch, cit. nt. 5, 165 ss., M. Gelzer, s.v. Latium, in PWRE, XII.1, Stuttgart, 1924, 950, riferito a tutte le minori comunitá investite dal primo espansionismo romano.
8 Si v. l'indicazione abbastanza incerta di Plut., v. Rom., 24. 4.
9 In Plut., v. Rom., 16. 3, 11. 1. Cfr. anche Liv., 1. 9. 8, e 10. 2, 1. 11. 2, e 4, nonché 2. 35. 4. V. anche DH, 3. 49. 4 e 6, Eutr., brev., 1. 1. 2.
10 Beloch, cit. nt. 5, 159 s., Gelzer, Latium (cit. nt. 7) 950, L. Ross Taylor, The Voting Districts of the Roman Republic, Roma, 1960, 36 s. e nt. 4-5.         [ Links ]
11 DH, 4. 58. 3-4. Cfr. Weiss, s.v. Gabii, in RE, VII, Stuttgart,1912, 420 s., e piu in generale, J.C. Richard, Variations sur le theme de la citoyenneté
ά l' époque royale , in Ktema, 6, 1981, 89-103.
12 A.N. Sherwin-White, The Roman Citizenship 2, Oxford, 1973, 19 ss.
13 Cfr. L. Capogrossi Colognesi, Diritto e potere nella storia di Roma, Bologna, 2009, 14 ss.         [ Links ]
14 Una condizione che, a su volta, si correla all'ambivalenza della figura dello straniero: "come appartenente ad un'altra specie (barbaro, nemico naturale, disumano) fino alla sua integrazione graduale come amico, ospite, coinquilino (incola, metoikos), perfino come parificato all'indigeno", per richiamare l'incisivo riferimento di D. Nörr, Osservazioni in tema di terminologia giuridica pre decemvir ale e di ius mercatorum mediterraneo il primo trattato cartaginese-romano, in M. Humbert (ed.), Le Dodici Tavole, Pavia, 2005, 154.         [ Links ]
15 La proxenia privata è si collocata in una fase storica dove il mondo delle poleis moveva giá i primi passi, e tuttavia in esso si serba forte l'eco di forme ancora piu arcaiche d'ospitalitá: gli obblighi di ospitare materialmente lo straniero e di assicurarne l'alloggio e la sussistenza (CIG, 5496, Herod., 4. 154; 8. 136) e il ruolo dei doni da dare all'ospite, fortemente richiamato nelle fonti (Diog. Laert., 2. 51 s., Paus., 7. 10. 2 s., 3. 8. 4, 5. 4. 7, Pollux, 3. 59-60, 4. 125, Plat., Tim., p. 20c, Diod., 13. 83, Plut., quaest. Graec., 17, Xen., conv., 8. 39, Apul., met., 2. 11, Liv., 37. 54, Vitr. 6. 10. 4). Questo rapporto spesso poteva essere ereditario.
16 Ma giá nell'Iliade è esemplare il discorso di Diomede a illustrare i doveri dell'ospitalitá: Hom., Il., 6. 212 ss. E' anche interessante che, le situazioni evocate nell'Odissea, ondeggiano tra la consapevolezza di un dovere da assolvere e il senso di una scelta arbitraria che rendeva possibile escludere lo straniero richiedente da ogni tutela ed ospitalitá. Dove sembra pesare - coerentemente al carattere aristocratico di tali societá - lo statuto sociale dello straniero: si tende a fornire ospitalitá se, anche da segni impalpabili, si puè dedurre che questi sia individuo di rango.
17 E non solo tra le cittá greche, ma anche di queste con i "barbari": Xen., Heracl., 6. 1, Thucid., 2. 39, Diod., 13. 26. 3, Plut., Cim., 10. 8.
18 Di tale vincolo d'ospitalitá era testimonianza materiale quel symbolon che veniva ad essere scambiato tra le parti, consistente sovente o in un oggetto rotto in due parti, conservata ciascuno dall'ospitante e dall'ospitato, o in due oggetti identici con un'iscrizione, come ad es. due mani d'osso: cfr. Plin., hist. nat., 33. 1. 10, Liv., 19. 25. Plauto, poen., traduce tale riferimento in latino con tessera hospitalis Dell'hospitium pubblico, senza l'intermediazione di privati cittadini, resta precisa testimonianza documentaria nelle tesserae hospitales che assicuravano la condizione privilegiata in Roma dei beneficiari: una pratica sopravvissuta ancora in etá assai piu avanzata e che aveva ormai assunto un valore anche simbolico, come peculiare atto di benevolenza romano.
19 I piu antichi di questi accordi appaiono giuridizzare un arcaico tessuto costituito dal ricco intreccio di collegamenti religiosi legati alla presenza di culti comuni a piu comunitá in un complesso sistema di relazioni. V. giá A. Alföldy, Early Rome and the Latins, Ann Arbor, 1971, ed ora T. J. Cornell, The Beginnings of Rome, London, 1995, 109 ss.
20 Cfr. Capogrossi Colognesi, Cittadini e territorio, Roma, 2000, 69 ss. e lett. ivi cit. V. ora Cornell, Beginnings cit. nt. 19, 299 ss.
21 In quanto Latini essi, in Roma, potevano fruire del diritto romano nello stesso modo dei cittadini di questa cittá. Un diritto reciproco - e un'assimilazione - che valeva egualmente per i Romani a Praeneste, Tivoli etc. Nel plasmare questa situazione uniforme, associata giá dagli antichi al foedus Cassianum, poté concorrere una pluralitá di relazioni maturata nell'etá precedente e di cui le antiche testimonianze serbano ancora traccia, con il ricordo di rapporti comuni di tipo federativo, ma anche di specifiche alleanze e di accordi tra singole cittá. Cfr. Liv., 1. 32. 3, DH, 3. 34. 5, e 37. 3, su cui restano fondamentali Th. Mommsen, Römisches Staatsrecht, III, Leipzig, 1887, 615 s., e R. Werner, Der Beginn der römischen Republik, München-Wien, 1963, 370 ss., 415 ss., ma v. anche Frezza, Le forme federative e la struttura dei rapporti internazionali nell'antico diritto romano, in SDHI, 4, 1938, 368 ss., e P. Catalano, Linee del sistema sovrannazionale romano, I, Torino, 1965, 151 ss.         [ Links ]
22 Sulla portata specifica di alcune clausole in esso contenute, relative alla condizione dei commercianti romano-latini in ambito cartaginese richiamo quanto giá ebbi a sostenere circa la possibilitá che egole specifiche di un - peraltro a noi ignoto - diritto cartaginese in tema di compravendita fossero state applicate in forma peculiare proprio a disciplinare accordi estranei a tale diritto in cui fossero intervenuti soggetto ad esso estranei come i Romani. Cfr. Capogrossi, Cittadini cit. nt. 20, Cap. III. Per un quadro d'insieme dei problemi sollevati dal primo trattato, v. B. Scardigli, I trattati romano-cartaginesi, Pisa, 1991, 41 ss., con vasta bibliografia e accurata individuazione dei problemi.
23 DH, 6. 65. 9. In cui si ricorda un termine obbligatorio di dieci giorni per pronunciare la sentenza sui contratti tra membri dei vari membri della Lega. V. Capogrossi, Cittadini cit. nt. 20, 123 ss.
24 Nörr, che giá s'era interessato di questa testimonianza (v. soprattutto Nörr, "Fides Punica" - "Fides Romana". Bemerkungen zur "demosia pistis" in ersten karthagisch-römischen Vertrag und zur Reschtsstellung des Fremden in der Antike, in Il ruolo della buona fede oggettiva. Atti conv. in onore di A. Burdese (ed. L. Garofalo), II, Padova, 2003, 491-541) è ora intervenuto nuovamente con un contributo (Osservazioni cit. nt. 15) in cui ha riversato gran parte del saggio precedente ed in cui, come egli ci dice con la sua consueta, sottile ironia, utilizza "senza scrupoli il concetto piu medievale che antico del ius mercatorum".
25 Cosi Nörr, Osservazioni cit. nt. 15, 151 s. Né, d'altra parte, molto piu verosimile appare l'ipotesi, anch'essa cosi diffusa un tempo, che il testo riportato in Polibio sia solo una parte dell'originale (Nörr, ibid., 160 ss.).
26 V. in modo esemplare F. Wieacker, Römische Rechtsgeschichte, I, München, 1988, 265 ss.("Nichtlatinische Peregrine [hostes] ... waren sie allerdings - vorbealtlich abweichender Vereinbauern in solchen Verträges [scil. di hospitium o di reciproca protezione con altre cittá] - vom rechstgeschäftlichen Verkehr in altzivilen Formen und Legislaktionprozess offembar ausgeschlossen"). Si noti peraltro che il suo stesso inciso - vorbealtlich etc. - farebbe sospettare che i Romani potessero impegnarsi con un trattato o con l'hospitium a fornire questa stessa protezione iuris civilis. O ci si riferiva piuttosto all'estensione del ius commercii? A meno di non ammettere un ruolo assai piu ampio dei recuperatores, una figura relativamente arcaica richiamata da Nörr.
27 Pol., 3. 24. 12-13.
28 Nörr, Osservazioni cit. nt. 15, 157.
29 Lo stesso Nörr, Osservazioni cit. nt. 15, 165, sottolinea il silenzio del trattato in relazione alla posizione dei Cartaginesi in ambito romano, pur mostrandosi scettico sull'idea tante volte avanzata di una lacuna del testo di Polibio.
30 Su tutto ciè v. giá Capogrossi, Cittadini cit. nt. 20, 119 ss., Scardigli, Trattati cit. nt. 23, 73 ss., ed ora
la raffinata analisi di Nörr, Osservazioni cit. nt. 15, 171-188.
31 Pol., 3. 22. 8-10.
32 Ancora una volta mi richiamo a Nörr, Osservazioni cit. nt. 15, 155, per ribadire come sia oggi insostenibile l'idea di "una Roma primitiva - senza commercianti e marinai, con un diritto primitivo ... senza capacitá d'astrazione". Una lettura, del resto, per cui egli richiama giustamente il nome dello stesso Mommsen.
33 Nörr, Osservazioni cit. nt. 15, 158. Come non associare a tale problematica tutto ciè che sappiamo intorno alle festivitá religiose ed ai luoghi d'incontro dei popoli laziali cui s'è giá fatto cenno?
34 Per il dibattito precedente si v. Wieacker, Rechtsgeschichte cit. nt. 26, 264 nt. 133. V. ora l'importante sviluppo di questa problematica in Ando, Law, Language and Empire in the Roman Tradition, Philadelphia, 2011, 6 ss., 23 ss.
35 Cfr. Wieacker, Rechtsgeschichte cit. nt. 26, 266 nt 139, con puntuale discussione della letteratura. Ivi, 265, nt. 138, v. anche il commento all'altra norma processuale, status die cum hostibus. Inconsistente invece D. Kremer, Trattato internazionale e legge delle Dodici Tavole, in Humbert (ed.), Tavole cit. nt. 15, 197 ss. Ma v. soprattutto le incisive pagine di A. Calore, Hostis e il primato del diritto, in BIDR, IV S., 2, 2012, 108 ss., con notevole approfondimento di molteplici aspetti qui rilevanti ed ampia discussione della letteratura.
36 Cic., off. 1. 37. Tale regola segue pertanto la logica opposta alla disciplina dei negozi intervenuti tra cittadini romani, dove la durata dell'auctoritas è limitata al tempo necessarioa sanare gli eventuali vizi del negozio mediante l'usucapione. Ma, appunto, per gli stranieri è probabilmente esclusa anche questa forma acquisitiva come lo stesso dominium cui essa dava luogo: di qui l'illimitata durata dell'auctoritas. Cic., top., 4. 23. Cfr. Cic., p. Caec., 54, Gai. 2. 42, e 54.
37 Calore, Hostis cit., 114 nt. 36.
38 P. De Francisci, Arcana Imperii, III. 1, Roma, 1970 (rist.), 141 ss., R. Orestano, I fatti di formazione nell'esperienza romana arcaica, Torino, 1967, 102 ss.
39 Nörr, Osservazioni cit. nt. 15, 189, che aggiunge appunto come l'esaltazione da parte dei moderni "della singolaritá del diritto romano", frutto di una rappresentazione piu "teleologica piu che storica", ne ha infatti sancito il suo permanente Isolierung, rendendoci refrattari alla sua probabile permeabilitá alle esperienze delle altre comunitá mediterranee, e ad integrarsi in quel ius mercatorum che ho richiamato.
40 M. Talamanca, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, 298 ss., prevede una tutela processuale dello straniero almeno giá dalla meta del IV sec. a.C. Ma soprattutto a p. 104, egli ammette, con maggior chiarezza di molti altri autori, una qualche tutela giá in epoca precedente, sia alla luce dello stesso trattato con Cartagine, che delle concessioni dell'hospitium. V. anche M. Kaser-K. Hackl, Das römische Zivilprozessrecht2, München, 1996, 61 s.
41 Ma v. ora invece le importanti considerazioni di G. Garbini, La testimonianza storica delle iscrizioni di Pyrgi, in Rend. Acc. Lincei, S. IX, vol. 22, 221-30, sul probabile abbassamento della datazione effettiva del primo trattato.

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